In questa torrida estate l’ha fatta da padrona sulle nostre tavole, da quelle conviviali delle vacanze a quelle spartane di chi è rimasto in città: è la dieta mediterranea.
Tutti o quasi, almeno per sommi capi o per sentito dire, la conosciamo, ma quanto ne sappiamo realmente e quanto concretamente riusciamo ad osservarla?
La Diaetă mediterranea prima della dieta mediterranea
La dieta mediterranea, che ha ricevuto nel 2010 dall’Unesco il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, ha una storia antichissima: le sue radici affondano infatti negli studi che sin dall’antichità, come quelli di Ippocrate e Galeno sino a Paracelso, a diverso titolo e con diversi accenti, hanno cercato di individuare, nella cultura occidentale, il corretto rapporto tra cibo e salute ed in tutte le prassi alimentari del bacino del Mediterraneo e del vicino Oriente che in diversa misura, talvolta attraverso i precetti dei testi sacri (si pensi alla Bibbia o al Corano) hanno imposto regimi alimentari finalizzati al benessere e alla longevità della popolazione.
Senza nulla togliere ad Ancel Keys, il biologo e fisiologo statunitense considerato a ragione il padre della dieta mediterranea, ed alla validità dei suoi studi iniziati negli anni ’50 e poi confermati dalla comunità scientifica internazionale soprattutto in funzione di contrasto delle cosiddette malattie del benessere (obesità, diabete, ipertensione, ipercolesterolemia) va infatti ricordato che la triade ulivo-vite-grano, che pure è nell’ossatura della dieta mediterranea, rappresenta, nel Mondo occidentale, la sacralità del cibo per eccellenza.
Senza dimenticare il mito di Atena donatrice dell’ulivo all’Umanità, quello di Demetra legato ai riti agricoli ed i testi agrari della civiltà romana, è nel cristianesimo che essi assurgono a strumento di rapporto tra l’uomo e Dio.
Cucina, alimentazione e salute costituiscono un intreccio indissolubile nella nostra cultura
Come non ricordare allora il «Regimen Sanitatis Salernitanum», il poemetto di precetti alimentari redatto nell’XI secolo dalla Scuola medica salernitana, i vari contributi a metà tra medicina e gastronomia che, rifacendosi ai miti dell’antichità, si soffermarono sulle virtù salutari di taluni cibi (si vedano ad esempio Michele Savonarola, «Trattato utilissimo di molte regole per conservare
la sanità», Venezia, 1590 e Vincenzo Corrado, «Del cibo pitagorico ovvero erbaceo», Napoli, 1781) e più recentemente gli studi sul rapporto tra alimentazione e salute a cui si ispirò lo stesso Pellegrino Artusi nel suo «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene».
Fu però all’inizio del XX secolo che la comprensione del rapporto tra fisiologia ed alimentazione iniziò a farsi più attendibile e precisa.
Ai primi del ‘900 un medico ligure, Lorenzo Piroddi, condusse, nella Colonia Arnaldi (detta Colonia della Salute) di Uscio, un centro benessere fondato nel 1906 dal chimico farmaceutico Carlo Arnaldi fautore del regime alimentare disintossicante, degli studi simili a quelli che in seguito approfondiranno Keys e la sua equipe, dando vita, a beneficio dei frequentatori della Colonia, ad un regime alimentare che dava prevalenza a cereali, verdura e frutta e limitava uova, latticini e carne.
In Italia il regime fascista, che nel 1925 aveva lanciato la cosiddetta battaglia del grano che mirava all’autosufficienza alimentare di un Paese che, uscito dolorosamente dal primo conflitto mondiale, si preparava ad altri confronti bellici, fece, per necessità propagandistica più che per adesione scientifica, della sobrietà e della frugalità degli imperativi comportamentali da conculcare anche nelle scuole. La popolazione venne esortata a nutrirsi di alimenti «salutari» come riso, pesce e formaggi locali in una sorta di egualitarismo che occultava l’impossibilità per la maggior parte della popolazione di accedere ad alimenti più ricchi come la carne, ancora spesso irraggiungibile ai più e sostituita dai legumi.
Nei primi anni del secondo dopoguerra vi erano quindi, soprattutto in Italia, le condizioni, culturali ed economiche, per consentire ad Ancel Keys di approfondire i suoi studi sugli effetti della riduzione dell’assunzione delle calorie che, a seguito della pubblicazione nel 1950 dell’opera intitolata «Biology of Human Starvation» (La biologia della fame umana), gli erano valsi la stima e la considerazione della comunità scientifica.
Il padre della dieta mediterranea: Ancel Keys
Ancel Keys era nato a Colorado Springs nel gennaio del 1904, ma la sua famiglia si era trasferita in California quando Ancel aveva solo 2 anni, e prima di indirizzare la sua vita agli studi scientifici aveva fatto, come molti della sua generazione, mille mestieri: taglialegna, garzone nelle miniere d’oro, mozzo sui piroscafi diretti in Cina.
Nel 1925 conseguì la laurea in Economia e Scienze politiche all’Università della California a Berkeley e nel 1929 un dottorato in biologia e oceanografia all’Università della California a San Diego.
Avviatosi alla carriera accademica, nel 1938 approdò all’Università del Minnesota dove nel 1939 fondò e diresse, sino al 1975, il Laboratorio di Igiene Fisiologica.
In quello stesso anno 1939 Keys incontrò e sposò la ricercatrice Margaret Haney, poco più giovane di lui, che lo accompagnò e collaborò con lui, pur non ricevendo i medesimi riconoscimenti, per tutta la sua vita ed i suoi studi.
Nel 1940 Keys ricevette dal Ministero della Difesa statunitense, che si preparava all’imminente conflitto bellico, l’incarico di creare una razione militare completa e poco ingombrante: nacque così, dall’iniziale di Keys, la «razione K» che fu distribuita alle truppe americane a partire dal 1942 e che, pur avversata dai militari americani che la trovavano monotona, fu salutata con entusiasmo dalla popolazione italiana, spesso stremata dalla fame per l’occupazione nazifascista, a cui veniva largamente donata dai liberatori americani.
Sull’onda del prestigio acquisito per i suoi studi per l’Università del Minnesota, Keys venne per la prima volta in Italia nel 1951 in occasione del trasferimento a Roma della sede della FAO e qui, nell’incontro con i suoi colleghi ed in particolare con quelli italiani, si pose un quesito: come mai quasi tutti i Paesi, compresi quelli europei appena usciti dal secondo conflitto mondiale, lamentavano problemi di malnutrizione, ma avevano una bassissima incidenza di patologie cardiache, negli Stati Uniti si verificava il fenomeno opposto?
Di fondamentale importanza fu l’incontro con il Prof. Gino Bergami, ordinario di Fisiologia dell’Università di Napoli, titolare, d’importanti incarichi governativi e scientifici in materia di igiene e di alimentazione.
Da questo incontro, infatti, che si tradurrà nel soggiorno a Napoli di Keys e di sua moglie per tutto il 1952, faranno seguito gli studi in Spagna da cui cui Keys trasse importanti elementi comparativi tra regimi alimentari consimili gettando le basi teoriche dei suoi successivi approfondimenti.
In quel periodo Keys e sua moglie elaborarono, assieme ad altri ricercatori, l’ipotesi che il tasso di malattia coronarica nelle popolazioni e negli individui variasse in relazione alle loro caratteristiche fisiche e allo stile di vita, in particolare alla composizione grassa della dieta e ai livelli di colesterolo sierico.
Tale ipotesi, che rappresenterà la base dei Seven Countries Study dai quali scaturiranno le basi scientifiche della dieta mediterranea, fu con ogni probabilità elaborata da Keys, che in passato aveva collaborato con la Rockfeller foundation, prendendo spunto dagli studi compiuti dalla stessa Fondazione nel 1948 a Creta.
Più che dall’intuizione geniale di un singolo quindi l’ipotesi scientifica che poi si tradurrà nella dieta mediterranea nacque da un orientamento della comunità scientifica internazionale chiamata, da un lato, a porre rimedio agli effetti della malnutrizione che interessava larga parte della popolazione mondiale uscita malconcia dal secondo conflitto mondiale, dall’altro ad evitare le conseguenze negative dell’eccesso di alimentazione che si erano già registrate negli Stati Uniti.
Occorreva, tuttavia, che tale ipotesi fossero verificate sul campo e dopo alcune incursioni al di fuori del bacino del Mediterraneo la scelta cadde su di un piccolo comune calabrese ora in provincia di Vibo Valentia: Nicotera.
Il progetto pilota di Nicotera
Il progetto pilota di Nicotera ebbe come ricercatori principali Ancel Keys e sua moglie Margaret, Paul Dudley White, affermato cardiologo statunitense nonché medico personale del Presidente Eisenhower, Flaminio Fidanza, sodale di Bergami, ed un giovane ricercatore, Alfonso Del Vecchio che era originario di Nicotera, un territorio che poteva presentare tutte le caratteristiche nutrizionali e di stile di vita per verificare le teorie di Keys e del suo gruppo di lavoro.
In questa scelta la presenza di Del Vecchio, in grado di fare da interprete con una popolazione che parlava quasi esclusivamente il dialetto e che avrebbe dovuto, malgrado la sua natura accogliente, fare da cavia superando un comprensibile pudore, fu assolutamente determinante.
Come era possibile però che un piccolo comune calabrese, terra aspra e avara in cui allora prevalevano povertà e malnutrizione, potesse diventare il modello alimentare di un Paese come gli Stati Uniti? Per i calabresi, che da tempo immemorabile combattevano contro la fame e la siccità, gli Stati Uniti erano lo sconfinato Paese dalle infinite opportunità, la Terra Promessa conosciuta dai nicoteresi per il continuo flusso migratorio che portava moltissimi italiani, in gran parte meridionali, a cercare fortuna Oltreoceano.
Il paradosso è affrontato ed in gran parte risolto in un interessante studio di Vito Teti, «La dieta mediterranea: realtà, mito, invenzione» in «L’Italia e le sue Regioni» Treccani, 2015.
In questo saggio, particolarmente ricco di riferimenti letterari e scientifici sul reale stato di salute e sull’alimentazione delle popolazioni meridionali nel periodo storico interessato dagli studi del gruppo di lavoro di Keys, l’Autore si sofferma sulla disomogeneità ed occasionalità dei regimi alimentari e sulle ambizioni della popolazione di una dieta assai più abbondante e grassa rispetto alla povertà, o addirittura all’assenza del proprio pasto quotidiano e fa emergere tutti i limiti e l’idealizzazione di quelle condizioni di vita operata da quel gruppo di lavoro.
Va notato, tuttavia, che Keys ed i suoi, che condussero rilevazioni statistiche, non erano alla ricerca dell’elisir di lunga vita, ma delle contromisure alimentari per far fronte alle malattie dell’opulenza ed in particolare di quelle cardiovascolari di fatto sconosciute nel Meridione d’Italia e che non casualmente inizieranno ad interessare quelle stesse popolazioni all’indomani del boom economico.
Keys, il quale finì nel 1962 con lo stabilirsi con la sua famiglia a Pioppi, un piccolo Comune del Cilento dove acquistò una tenuta denominandola Minnelea (sintesi tra Minneapolis ed Elea, l’antica Velia) e dove è ora ospitato l’Ecomuseo della Dieta Mediterranea, si ritenne soddisfatto dei risultati raggiunti al punto da avviare con un gruppo di lavoro ancora più consistente i più volte citati Seven Countries Study.
I Seven Countries Study
Esaurita a Nicotera la parte sperimentale dello studio venne avviato dal gruppo di Keys un programma di ricerca su più larga scala destinato a confermare e precisare i risultati raggiunti.
Nacquero allora i Seven Countries Study che presero a riferimento sette Paesi a loro volta suddivisi in coorti omogenee: Stati Uniti d’America, Finlandia, Olanda, Italia, Grecia, Ex Jugoslavia e Giappone; studi che di fatto proseguono, con obiettivi e denominazioni diverse, ancora oggi ed hanno rappresentato un modello per l’intera comunità scientifica internazionale.
In Italia le coorti interessate, che in diversa misura hanno contribuito alla costruzione della dieta mediterranea, sono state Crevalcore, in Provincia di Bologna, Montegiorgio in Provincia di Fermo e la coorte della ferrovia di Roma che rappresentava la controparte italiana del gruppo ferroviario statunitense.
La dieta mediterranea per come la conosciamo oggi, se ha in quegli studi il suo fondamento scientifico, non ne rappresenta, tuttavia, la semplice esposizione, ma vi aggiunge, per il fondamentale contributo di Keys e della sua famiglia, elementi di carattere comportamentale e rituale oltre che una sorta di sintetizzazione concettuale che ne ha consentito la diffusione anche al di fuori della comunità scientifica internazionale.
La dieta mediterranea come prassi quotidiana
È noto che la parola dieta ha subito, a partire dal secondo dopoguerra e dalla nascita della società del benessere, una modifica del suo significato nel linguaggio corrente visto che essa non individua più un regime alimentare quotidiano e una regola di vita, ma una forma di selezione, il più delle volte in termini limitativi e sottrattivi, del cibo.
La dieta mediterranea invece ha come riferimento il significato originario del termine ed anche nella sua formulazione più nota e più sintetica di piramide alimentare non è rivolta a perdere peso, ma ad introdurre uno stile di vita quotidiana virtuoso in cui il fabbisogno nutrizionale giornaliero ottimale dovrebbe vedere la prevalenza di carboidrati, prevalentemente complessi, seguiti da frutta e verdura con un limitato apporto di grassi, preferibilmente quelli contenuti nell’olio extravergine d’oliva, e ad una ancor più limitata assunzione di proteine.
Va notato che, sempre salve le esigenze individuali, questo regime alimentare dovrebbe essere riservato all’età adulta escludendo i bambini, gli atleti e le donne in stato interessante.
Il semplice dato qualitativo e quantitativo del cibo, tuttavia, non rende giustizia alla dieta mediterranea che, oltre che un supporto concretamente attuabile per una corretta alimentazione e la prevenzione di alcune malattie, in particolare di quelle cardiovascolari, è anche un’operazione culturale unica nel suo genere che, per la prima volta nella Storia, introduce elementi di convivialità e di trasmissione di conoscenze gastronomiche.
La convivialità è volta, oltre che ad aumentare la piacevolezza del pasto, ad evitare l’assunzione frettolosa, compulsiva e solitaria di alimenti spesso ricchi di grassi e proteine, mentre la condivisione di conoscenze di diverse culture culinarie è diretta a variare il pasto consentendo anche una maggiore combinazione dei medesimi ingredienti «virtuosi».
Dalla Mediterranean way al riconoscimento dell’Unesco
Nel 1959 i coniugi Keys pubblicarono i primi risultati dei loro studi nel libro «Eat well and stay well» (Mangia bene e stai bene) che divenne rapidamente un bestseller al punto che la rivista TIME Magazine dedicò a Keys la copertina del numero di gennaio 1961.
L’impatto culturale del volume fu enorme e certamente superiore alle aspettative dei suoi autori venendo ad incidere addirittura sulla stessa considerazione sociale degli italoamericani passati improvvisamente da disprezzati mangiaspaghetti a portatori di uno stile di vita virtuoso.
Quasi contemporaneamente, nel 1960, uscì negli Stati Uniti il film «It Started in Naples» (La baia di Napoli) con Clark Gable ed una prorompente Sophia Loren. Nel film, che offriva una visione edulcorata di Napoli e delle sue bellezze, un severo avvocato statunitense, interpretato da Gable, si reca a Napoli con intenzioni bellicose per poi capitolare di fronte alla bellezza della Loren ed allo stile di vita italiano e decidere di stabilirsi in quei luoghi: quasi un’anticipazione di quanto farà la famiglia Keys in Cilento solo due anni dopo.
Al volume «Eat well and stay well» (Mangia bene e stai bene) ne fece seguito un secondo nel 1967 intitolato «The benevolent bean» (Il fagiolo benevolo) che tratta delle virtù alimentari dei legumi e nel 1975 un terzo, che orienterà il destino della dieta mediterranea: «How to eat well and stay well the Mediterranean way» (Come mangiare bene e stare bene con la dieta mediterranea) nel quale i coniugi Keys e la loro figlia primogenita Caroline dimostravano con consigli pratici, con le ricette che avevano appreso in Italia ed uno stile di vita che essi praticavano realmente, le virtù della dieta mediterranea.
In una lunga intervista rilasciata nel 2015 Caroline, che crescendo era diventata l’editor della famiglia, affermerà che la parola «Mediterranea» era stata una scelta dell’editore per avere un maggior impatto mediatico.
Probabilmente questa scelta deve essere stata in qualche modo influenzata dal lavoro dell’accademico francese Fernand Braudel che nel suo volume intitolato «Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni» aveva in qualche modo «creato» una sorta di luogo magico ed ancestrale ricco di storia e di tradizioni gettando le basi per il riconoscimento di una «cultura mediterranea» nel cui ambito s’inserisce la «dieta» di Keys.
Scriveva infatti Braudel: «Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia».
L’apporto della famiglia Keys agli studi scientifici condotti in passato non ebbe solo uno straordinario impatto divulgativo, ma trasformò uno studio medico in uno stile di vita e di fatto risulterà decisivo per il riconoscimento da parte dell’Unesco che esalterà, più che la virtù salutari della dieta mediterranea, le sue peculiarità culturali anche per quanto riguarda elementi che, a stretto rigore, non fanno parte dei conenuti alimentari della dieta: la ritualità e la convivialità dei pasti, la trasmissione del sapere nella comunità mediterranea e da una generazione all’altra.
La dieta mediterranea nel terzo millennio
Ancel Keys ha lasciato questo Mondo nel 2004 alla soglia dei 101 anni pochi mesi dopo aver ricevuto dal Presidente della Repubblica Italiana la Medaglia d’argento al merito della sanità pubblica. Lo ha raggiunto due anni dopo, all’età di 97 anni, sua moglie Margaret.
Con la loro longevità entrambi, che furono i primi e più rigorosi osservanti della dieta mediterranea, si sono dimostrati, oltre che valenti studiosi e straordinari divulgatori, i suoi testimonial più efficaci.
Oggi che i media sono saturi d’informazioni talvolta contraddittorie relative alla salute, alle virtù ed alle insidie del cibo, la lezione dei coniugi Keys rimane ancora attuale.
Una dieta come stile di vita alla portata di tutti, ricca di alimenti freschi, di frutta, verdura, cereali, olio extravergine d’oliva con qualche concessione ai dolci, alla carne, al buon vino, costantemente variata per non essere punitiva o noiosa.
Il pasto come momento conviviale, occasione di trasmissione di saperi, storia, cultura.
Un po’ di sano movimento quotidiano.
Un obiettivo difficile, ma non impossibile da raggiungere anche nella caotica e frenetica vita metropolitana.
Foto di Laura Montagnani da Pixabay
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