Una ricerca realizzata dalle organizzazioni no-profit, l’Institute for Agriculture and Trade Policy e GRAIN, pubblicata a luglio, ha svelato che le aziende di carne e prodotti lattiero-caseari stanno superando l’industria dei combustibili in fatto di emissioni di gas serra, contribuendo in maniera negativa al cambiamento climatico.
Il nesso era già noto, tanto che nel 2014 uno studio del Regno Unito pubblicato sulla rivista Climatic Change aveva rilevato che una dieta ricca di carne comportava un costo di 7,2 kg di emissioni di biossido di carbonio al giorno, rispetto con 3,8 kg per i vegetariani e solo 2,9 kg per i vegani.
Gli scienziati sono particolarmente preoccupati per i gas emessi da decine di miliardi di bovini, ovini, suini, pollame e altri animali in tre aree principali: metano, uso del suolo e respirazione.
Per tali ragioni, l’industria europea dell’agricoltura è stata chiamata a rallentare la produzione di carne e latticini entro il 2050, mantenendo così l’accordo sul clima di Parigi.
La black list
La lista nera comprendere: Cina, Stati Uniti, Unione europea, Canada, Brasile, Argentina, Australia e Nuova Zelanda, responsabili di oltre il 60% delle emissioni globali di carne e prodotti lattiero-caseari.
Il futuro è vegan
L’allarme dà ragione a noi “maledetti” vegani, ultima speranza degli ambientalisti.
Essi incentreranno i prossimi dibattiti proprio sulla necessità di adottare quanto più possibile un regime alimentare a base vegetale per aiutare l’ambiente, incoraggiando gli esponenti politici a creare sistemi alimentari più sostenibili.
Tra le proposte vi sono una serie di misure – comprese tasse e sussidi – per scoraggiare i prodotti animali nocivi per la salute, il clima o l’ambiente.
Allora Go Vegan. Go.
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