Un altro incendio. Un altro accorato grido, rimasto sordo e soffocato, presso il centro di accoglienza per migranti di Vathy, sull’isola greca di Samos. Tre sono in totale gli incendi, scoppiati nell’hotspot tra la notte e le 11:00 del mattino del 27 aprile. Centinaia di famiglie e minori sono rimasti all’addiaccio, ammassati lungo le strade.
A darne immediatamente notizia, tramite canale facebook, è Still I Rise, organizzazione internazionale indipendente che offre istruzione di livello mondiale a bambini profughi, orfani e senza diritti. “I pompieri sono intervenuti prontamente e grazie a loro non ci sono stati feriti. Ciò nonostante sono moltissime le persone che hanno perso tutto, di nuovo; tra questi numerosi minori non accompagnati, alcuni dei nostri studenti e le loro famiglie. E non c’è niente che noi possiamo fare.
Come sempre, siamo incredibilmente sorpresi dalla solidarietà tra i residenti del campo: sebbene nessuna autorità o ONG sia stata in grado di distribuire nulla, sembra che alcuni rifugiati dell’hotspot abbiano prestato delle tende a chi ne era rimasto sprovvisto. E’ chiaramente impossibile mantenere le precauzioni dettate dall’emergenza Covid in questo momento. Ora, più che mai, è fondamentale che almeno i più vulnerabili siano ricollocati in un alloggio sicuro e che l’Europa faccia un passo avanti. È tempo di mostrare, nella concretezza, i valori di uguaglianza, solidarietà e giustizia di cui essa si fa portatrice”.
Una bomba a orologeria
Non sono ancora chiare le cause del rogo; l’ANSA ha appena comunicato che tre pastori sospettati di aver appiccato piccoli incendi sono stati arrestati. Per precauzione, alberghi e turisti sono stati evacuati; per i residenti del campo non sembra esserci alcuna misura risolutiva o piano di ricollocamento. In un tweet, il team di Medici Senza Frontiere comunica di essere pronto a offrire assistenza medica e supporto psicologico alle persone colpite.
Non si tratta della prima tragedia nel campo profughi di Samos; lo scorso ottobre uno spaventoso incendio era divampato alle porte dell’hotspot e 5000 profughi erano stati evacuati. Di fronte alla portata di quel disastro, Still I Rise aveva messo a disposizione la propria scuola offrendo riparo a circa 250 persone; attraverso l’appello del co-fondatore Nicolò Govoni, l’organizzazione aveva raccolto € 10.000 su base volontaria in sole 24h, destinati all’acquisto di beni di prima necessità, come cibo, coperte, sacchi a pelo e vestiario, da distribuire a chiunque ne avesse bisogno. Questa volta, la situazione è resa ancor più insostenibile e rischiosa dall’emergenza globale e dal doveroso rispetto delle misure restrittive che sono state implementate; le ONG presenti sull’isola non sono riuscite ad aprire i loro centri e rendersi utili con altrettanta efficienza e sicurezza.
A ridosso della Turchia, questa meravigliosa isola dell’Egeo orientale è da anni uno dei primissimi approdi in Europa per migliaia di migranti, perlopiù in fuga dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq; nel tratto di mare lungo lo stretto di Mykali, infatti, Samos dista solo un kilometro e 200 metri dalle coste turche. Le drammatiche condizioni dei richiedenti asilo nelle isole greche sono il frutto di un sistema fallimentare che non può più funzionare né rattoppato. Sono pressoché 40mila (dati Oxfam e Greek Council for Refugees) le persone ad oggi intrappolate in questi campi-lager, allestiti dall’Unione Europea e gestiti dal governo greco. Un limbo che tiene costrette e segregate la vita di migliaia di persone in un inferno istituzionalizzato senza tempo né diritti.
Dove la coscienza muore
L’ultimo aggiornamento di Still I Rise è accompagnato da una lucida denuncia e rispettosa richiesta, rivolte al ministro delle Politiche migratorie greco, Notis Mitarakis.
“Oggi alcuni dei migranti hanno fatto ritorno al luogo dell’incendio; hanno perso tutto ma stanno tentando di ricostruire. Come sempre, da soli. Il ministro per l’emigrazione, Mr. Mitarakis, è arrivato oggi a Samos. Ci aspettavamo una soluzione. Egli ha parlato a lungo di come i responsabili degli incendi pagheranno in tribunale e di come i controlli da parte della polizia verranno aumentati. Nulla è stato detto, tuttavia, in merito a un potenziale piano per far fronte all’emergenza. Le persone non possono essere trasferite ad Atene – ha spiegato – poiché continuerebbero ad appiccare il fuoco nella speranza di poter essere allontanate dall’isola.
Questo è vero. Pertanto, per favore signor Mitarakis, si prenda un momento per pensare a quanto debbano essere disperate queste persone per arrivare ad appiccare deliberatamente il fuoco ad altre tende, bruciando tutto ciò che possiedono, solo per uscire da questo inferno. Noi siamo qui e possiamo vederlo. Sembra un paese del terzo mondo. Signor Mitarakis, lei, come qualsiasi altro cittadino europeo, non sopravvivrebbe un solo giorno in quel campo. Eppure il suo governo costringe altri esseri umani a rimanere qui fino a due 2 anni. Certo, chiunque abbia appiccato il fuoco deve essere arrestato, ma quando arriverà il giorno in cui fornirà un luogo sicuro a tutte queste persone disperate, da mesi bloccate nel campo? Quanto ancora devono sacrificare prima di poter iniziare a costruirsi una vita dignitosa?”
Cara Europa, per chi batti bandiera?
La bandiera europea ha smesso di sventolare di fronte alla crisi dei migranti e ai campo sovfraffollati della Grecia; l’Europa ha imbarbarito ciò che rimaneva della culla della civiltà occidentale per farne il suo scudo dalla minaccia migratoria. La risposta europea si riassume in uno scatto, ed è quella di un’Europa che non muove un dito, che tacitamente acconsente e benedice.
Nella foto: le forze di sicurezza greche costringono i rifugiati che hanno attraversato il confine a tornare nudi in territorio greco (Foto gentilmente concessa all’autrice da Belal Khaled/TRT).
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