Prima dell’invenzione della dagherrotipia nel 1839 (il primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini, non riproducibili) per tramandare ai posteri la propria effige bisognava farsi fare un ritratto, ovviamente a costi elevati.
In quel periodo, in Inghilterra e Spagna si diffuse la tendenza di immortalare i defunti.
La singolare moda ebbe sponda fra le classi sociali alte, ma anche presso artisti del calibro di Picasso, Gauguin e Monet, i quali cedettero all’impulso di omaggiare i loro amati, ritraendoli per sempre in un dipinto.
LA MODA INVENTATA DALLA REGINA VITTORIA (1837-1901)
Con l’avvento della fotografia, questa macabra tendenza prese piede anche tra le classi meno abbienti e gli studi fotografici si specializzarono nel settore, inventano nuove tecniche per rendere le foto quanto più verosimili possibile.
Esse venivano scattate sia presso gli studi fotografici, allestiti opportunamente, sia presso le abitazioni del cliente.
A lanciare la singolare moda fu la Regina Vittoria, che ordinò di fotografare il cadavere di una persona cara per conservarne il ricordo.
EVOLUZIONE DELLO STILE
In principio, venivano immortalati solo il viso o il busto del defunto, raramente si includeva la bara. Poi si iniziò a sistemare il cadavere su un divano, con gli occhi chiusi e la testa reclinata sul cuscino, in modo da sembrare caduto in sonno profondo.
Dal 1860 in poi, vennero adottati singolari stratagemmi per far sembrare “vivi” i morti.
Alcuni erano fotografati seduti su delle sedie, con gli occhi aperti, come immersi nelle abituali attività quotidiane, altri venivano addirittura messi in piedi e sorretti da una misteriosa mano nascosta dietro una tenda o da piedistalli.
Frequenti erano le foto di gruppo con l’intera famiglia accanto al morto, il quel veniva preparato e posizionato come una bambola o una statua.
I bambini, venivano fotografati nella loro culla, circondati dai giocattoli, oppure da animali domestici.
I neonati venivano invece ritratti in braccio alle madri.
Una volta stampate, le macabre foto venivano ritoccate con del colore per simulare un incarnato sano e addirittura sulle palpebre chiuse venivano dipinti occhi finti.
In seguito tuttavia venne bandita ogni forzatura e le foto post mortem si concentrarono sul morto posizionato all’interno della bara, tralasciando la componente realistica della foto. Questa usanza venne definitivamente abbandonata negli anni ’40.
LA TANATOMETAMORFOSI
Secondo alcuni studi, la macabra moda affonda le sue radici nella tanatometamorfosi (trattamento delle spoglie), una pratica che si concentrava sulla “mummificazione visiva”, dove la sembianza di vita era resa necessaria per esprimere lo stato di salute dello spirito del defunto.
Già in epoca romana venivano realizzate le maschere funerarie e, durante i funerali, la maschera veniva portata in processione.
Con l’invenzione delle “carte da visite” cioè foto ritratto che potevano essere duplicate, le copie venivano inviate a parenti ed amici, per ricordare eternamente la persona scomparsa.
PRATICA ANCORA ATTUALE
In Europa orientale sono diffuse foto di santi situati nelle loro bare ed ancora oggi nei cimiteri è possibile vedere questo genere di foto. Sostanzialmente si tratta di neonati morti durante o subito dopo il parto, che indossano vestitini e cuffiette sontuose.
di Simona Mazza
Fotografie post mortem
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