La metamorfosi di Dafne e la vendetta di Cupido

dafne cupido

«Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra,/il petto morbido si fascia di fibre sottili, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;/i piedi, così veloci un tempo, s’inchiodano in pigre radici;/ il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva». Così il poeta latino Ovidio descrive la trasformazione di una bellissima ninfa in un albero d’alloro. Si tratta di Dafne, figlia della dea Gea e di Peneo, dio-fiume della Tessaglia. La sua è solo una delle oltre duecento storie di trasformazioni contenute nelle Metamorfosi. Come le altre, è una metafora del mutamento continuo che caratterizza il mondo. 

Tutto cambia e tutto resta uguale

Le cose cambiano ma non si disperdono. Il petto di Dafne diventa un tronco, i piedi si allungano e diventano radici, il viso e i capelli diventano una folta chioma. Il dinamismo che caratterizza la ninfa sfocia nel suo esatto contrario, l’immobilismo; mentre il suo splendore rimane sempre lo stesso. Febo (nome latino di Apollo) è innamorato follemente di quello splendore e lo riconosce anche sotto altre spoglie. Ma anche la ripugnanza di Dafne nei confronti del suo corteggiatore persiste nonostante la corteccia, come persistente è il battito del suo cuore.

 «Anche così Febo l’ama e, poggiata la mano sul tronco,/sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia/e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo,/ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae». A quel punto a Febo non resta che accontentarsi di una parte della nuova Dafne: «Se non puoi essere la sposa mia,/ sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno,/ o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra». L’alloro annuisce con i rami e agita la cima come se volesse assentire con la testa. Sembra una vittoria per il dio innamorato, in realtà l’unico a uscire vittorioso da questa vicenda è il dio che ha il potere di far innamorare: Cupido. 

La vendetta di Cupido

L’amore entra solo di riflesso nel mito di Apollo e Dafne. Il sentimento da cui scaturisce la vicenda è l’ira («Il primo amore di Febo fu Dafne, figlia di Peneo, e non fu dovuto al caso, ma all’ira implacabile di Cupido»). Amore è in collera con Febo perché questi, ancora pieno di superbia per aver sconfitto Pitone (mostro a forma di serpente), l’aveva deriso, giudicandolo troppo piccolo e debole per sostenere il peso del suo arco. Questa ira si traduce subito in vendetta.

Il figlio di Venere dice: «Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà,/ma il mio trafiggerà te, e quanto tutti i viventi a un dio/sono inferiori, tanto minore è la tua gloria alla mia». Dopodiché si ferma «nell’ombra, sulla cima del Parnaso» e scocca due frecce di potere opposto: una dorata che fa innamorare, una di piombo che scaccia l’amore. Com’è noto, la prima colpirà Febo, la seconda Dafne. Sarà così che il dio del sole diventerà un inseguitore inarrestabile e la ninfa una malcapitata preda costretta alla fuga. Dafne, al culmine della stanchezza, pregherà il padre Peneo di salvarla mutando le sue sembianze. A quel punto Febo perderà ogni speranza di unirsi a lei.

L’amore, l’odio e la metamorfosi

Cupido riesce a prevalere su Febo perché lo annienta da dentro. Manipola i suoi sentimenti (di cui nella mitologia classica gli dei erano provvisti proprio come gli umani) e quelli della povera Dafne. In tutto questo, la ninfa è colei che subisce maggiormente la competizione fra gli dei. Ha una funzione puramente strumentale e vive la vicenda come un imprevisto, se non come una maledizione. 

L’amore e l’odio generati da Cupido sono talmente potenti da resistere anche al venir meno del corpo che Febo vuole conquistare e Dafne difendere. Questo perché se anche la forma cambia, l’umanità luminosa (qui identificabile con la parola «splendore») della Dafne-donna si riversa e si conserva nella pianta d’alloro. Con le Metamorfosi dunque, Ovidio ci dice che non esistono confini definiti tra le varie forme di vita, ma solo un’essenza indistruttibile che riformula continuamente se stessa. 

Foto di adege da Pixabay

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