La politica ambientale: un settore da ripensare

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• Premessa

La politica ambientale in Italia si è caratterizzata nel corso degli anni, per una totale mancanza di pianificazione, e anche quando ci si è sforzati di farlo (prendiamo ad esempio il recepimento delle direttive sulle raccolte differenziate dei rifiuti, e i valori fissati già dal decreto Ronchi), i risultati sono sempre stati ben lontani dall’essere raggiunti. Le cause, va detto, non sono differenti da quelle che affliggono tanti altri settori, ovvero burocrazia asfissiante, iperlegislazione spesso contraddittoria, controlli fatti male o peggio, sanzioni legate alla farraginosa macchina della giustizia italiana e condoni più o meno nascosti.

Tutto ciò costituisce un vero peccato, perché se facciamo ricadere nel concetto di politica ambientale in senso lato la cura dell’ambiente che ci circonda (anche al netto del pur consistente patrimonio artistico e culturale che vi è connesso), il settore costituirebbe senza dubbio, considerato il contesto italiano, una base di eccellenza per tutte le attività turistiche.

Sempre più spesso inoltre, le questioni ambientali hanno un grande impatto anche sull’aspetto industriale; basti pensare alla recentissima (e non ancora risolta) vicenda dell’ILVA di Taranto. In essa sono condensati molti degli aspetti che sono stati sopra richiamati. A tal riguardo non ci resta al momento che attendere di conoscere le modalità attraverso le quali tale situazione potrà essere risolta da tutte le parti in causa.

In questo articolo vorrei limitarmi a descrivere le difficoltà che incontra chi oggi vuole promuovere delle attività che ricadono nel campo ambientale.

• Gli interlocutori istituzionali e le procedure

Già qui cominciano i problemi. Poniamo infatti di voler iniziare un’attività qualsiasi ad esempio nel campo delle energie rinnovabili (un impianto fotovoltaico, un impianto di trattamento rifiuti, un parco eolico, una centrale idroelettrica, un impianto di produzione biogas da fonti agricole…).

Un non addetto ai lavori potrebbe pensare che esista una normativa nazionale chiara, segnatamente il il D.Lgs 152/06. Tale normativa in effetti esiste, ed all’interno di questa bisogna reperire il proprio caso in base alle dimensioni dell’impianto, tanto per citare una variabile. Peccato che poi si apra il girone dantesco delle conferenze dei servizi. A seconda della tipologia di intervento proposto, della Regione, della Provincia e financo del Comune in cui si insedia l’iniziativa, è un fiorire di leggi, leggine, regolamenti da rispettare ed interpretare. Una volta individuato il tipo di processo autorizzativo, alla conferenza di servizi sono invitati, a vario titolo,decine di enti (Belle Arti, Commissari, Parchi, ENEL, VVFF, etc, etc..) ad ognuno dei quali va trasmessa copia del progetto.

Il “bello” è trovarsi in situazioni in cui enti competenti sulla stessa materia, abbiano interpretazioni discordanti della stessa legge, con il povero proponente preso tra i due fuochi. Va anche detto che questo sovrapporsi di responsabilità e competenze mai chiarite o dupli/triplicate comporta talvolta per gli enti stessi l’impossibilità di valutare i progetti per mancanza di tempo/personale, con conseguente allungamento dei procedimenti. Tanto è vero che oggi, iniziare un processo autorizzativo e concluderlo entro un anno è considerato già un successo, e spesso si va ben oltre.

• Gli interlocutori non istituzionali

Oltre agli interlocutori istituzionali, per portare a compimento un’opera a valenza ambientale, bisogna interloquire con chi si opporrà alla stessa.

Una buona fotografia di tutto ciò è data dall’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum®, database nazionale che dal 2004 monitora in maniera puntuale la situazione delle contestazioni ambientali contro opere di pubblica utilità ed insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto.

Riportiamo un estratto del comunicato relativo agli ultimi dati presentati: “L’Osservatorio evidenziaun ulteriore incremento delle proteste contro il comparto più contestato, quello elettrico, che si attesta al 62,5% (contro il 58% del 2010). Seguono, tra i più colpiti dalla sindrome Nimby, il comparto dei rifiuti (31,4%) e quello delle infrastrutture (4,8%). In quest’ultimo ambito rientrano le proteste eclatanti dei No Tav della Val di Susa e contro la Pedemontana Veneta.

Sebbene connotate positivamente nella percezione popolare diffusa, le rinnovabili continuano anche nel 2011 ad essere oggetto di una massiccia opposizione: sul totale degli impianti censiti, 156 afferiscono al comparto delle rinnovabili (47,1%). Nella classifica degli impianti più contestati il primo posto è infatti occupato dalle centrali a biomassa (25,1%) e il secondo dagli impianti eolici (12,4%), che passano da 29 a 41”.

E’ evidente che se i progetti più contestati sono quelli relativi alle energie rinnovabili, teoricamente quelle più virtuose e quindi meglio accettabili, ci sono aspetti di pianificazione e di comunicazione delle iniziative che meriterebbero una riflessione più attenta. Nell’era dei social network, ad esempio, andrebbero certamente riviste le modalità di presentazione dei progetti e il coinvolgimento delle popolazioni interessate dalla realizzazione degli stessi.

Dall’altro lato, in Italia, i movimenti ambientalisti, al netto della quasi scomparsa dei Verdi dal quadro politico, negli anni han visto crescere il loro numero e la loro autorevolezza, e le questioni ambientali sono sempre più spesso oggetto di discussione pubblica.

• I controlli

Passata la fase autorizzativa, inizia la fase “operativa”, con la realizzazione e la gestione dell’opera. In questa fase diventano fondamentali i controlli da parte degli enti competenti, in particolar modo in fase di gestione dell’opera, quando le emissioni dipendono in maniera decisiva da come le infrastrutture sono condotte.

Va detto che, purtroppo, in questo ambito, gli esempi negativi di mancanza di controlli e relativi danni ambientali sono drammaticamente numerosi, basti pensare al traffico di rifiuti pericolosi e tossico-nocivi. Altrettanto chiaramente va detto che la soluzione non può essere un meccanismo come il SISTRI, su cui si stanno spendendo somme non irrilevanti, con rinvii a ripetizione e problematiche insuperate.

Un investimento sui sistemi di controllo/prevenzione sarebbe certamente foriero di risparmi significativi a fronte di disastri ambientali in parte evitabili. Si pensi in questo caso a quanto si sarebbe potuto evitare in occasione delle alluvioni degli ultimi anni in termini non solo di danni materiali, attraverso controlli preventivi sui canali e sui sistemi di drenaggio.

• Variazioni legislative

Un altro aspetto su cui soffermarsi riguarda il continuo variare delle legislazioni, che si sedimentano nel tempo con effetti curiosi. Ad esempio, può succedere che impianti costruiti a norma debbano essere adeguati a normative in continua evoluzione, sotto tutti i punti di vista, in fase di gestione o addirittura già in fase di costruzione. Questo espone a situazioni curiose, in cui si rischia di essere fuori norma non per non aver rispettato le norme, ma perché le stesse sono cambiate in corsa, spesso con prescrizioni del tutto incongruenti con le precedenti se non contraddittorie. E’ evidente che tutto ciò costituisce un ulteriore freno allo sviluppo sostenibile del paese.

• Alcune proposte

Il quadro di riferimento appare quindi contraddittorio. A fronte di una crescente domanda ed attenzione da parte dell’opinione pubblica in merito alle questioni ambientali, queste sono solo “sopportate” dalla classe dirigente attuale, e salvo poche eccezioni, non sono esattamente al centro dell’agenda dei partiti e dei movimenti politici. Basta infatti leggere qualsiasi documento programmatico per accorgersi che al di là di generiche dichiarazioni sul fatto che si vuole uno sviluppo sostenibile, poco di concreto e propositivo trova adeguato spazio. In alcuni casi addirittura non se ne fa cenno.

Al contrario, chi oggi vuole ambire a governare il paese deve rendersi conto che la questione ambientale può essere veramente una trave portante per il rilancio del paese. I nostri beni ambientali, culturali ed architettonici (il 60% del Patrimonio complessivo dell’Umanità secondo l’UNESCO!) devono essere un driver per il rilancio del paese: vanno evitati gli orrori del passato. Si pensi che abbiamo costruito complessi industriali pesanti vicino a meraviglie come Venezia, Ferrara, Mantova, solo per citare quelle che chi scrive conosce più direttamente e che abbiamo devastato città storiche con interventi inqualificabili in termini urbanistici, senza contare le innumerevoli opere incompiute per motivi lontani da quelli legali.

Quali possono essere allora le linee guida concrete per una politica ambientale nazionale? Mi permetto di suggerirne alcune, allo scopo di poterne discutere:

Sviluppo Green Economy: è sicuramente – a parole – la questione più dibattuta, ma troppo spesso ci si è limitati a parlare del tipo di incentivi e del loro valore, in particolare sul fotovoltaico. Il settore invece ha bisogno di regole certe, e per potere essere competitivo sui mercati internazionali deve premiare non attività speculative, ma ricerca ed innovazione. L’obiettivo deve essere quello di favorire una crescita sana del settore, e farlo diventare un’industria vera.

Piano energetico nazionale: manca da decenni, deve tenere conto dello sviluppo delle rinnovabili, dello stato della rete, degli impianti previsti. Non deve essere un piano dirigista, ma che faccia chiarezza su cosa serve e, magari, dove serve.

Pratiche autorizzative: va redatta una normativa univoca, chiara, che fissi tempi e competenze senza possibilità di deroghe a nessun livello. Devono essere previsti momenti di incontro istituzionali con comitati e cittadini, non solo con gli enti istituzionali.

Bonifiche: oggi in Italia realizzare una bonifica richiede spesso risorse che non sono più presenti. Si può prevedere un meccanismo simile al credito d’imposta per chi se ne faccia carico, più vantaggioso a seconda del valore dell’area di intervento.

Smart City: dare ulteriore impulso allo sviluppo delle città “intelligenti”, coinvolgendo capitali privati, tramite concessioni dai costi e dalle procedure chiare e trasparenti. In questo campo possono rientrare i sistemi di illuminazione, di trasporto e riscaldamento.

Ambiente e turismo: spesso sono due aspetti che si intrecciano, e anche a livello legislativo è un matrimonio che andrebbe incoraggiato. Chi si occupa di mantenere in buono stato di conservazione l’ambiente naturale in cui sviluppa la propria attività turistica, sostituendosi in questo allo Stato, andrebbe incentivato con sgravi sulle tasse o crediti d’imposta.

Rifiuti: anche in questo campo, non sono più tollerabili situazioni come Napoli o più recentemente Roma. Vanno individuate le necessità, pianificati i cicli integrati di smaltimento, selezionate le tecnologie da applicare, evitati spostamenti illogici di materiali fino in Olanda. Si può e deve fare, coinvolgendo i cittadini ed evitando di spendere in multe Europee, o in viaggi presso termovalorizzatori esteri, risorse con le quali i problemi si potrebbero risolvere in casa.

• Conclusioni

Questo breve intervento vuole porre in evidenza le (troppe) contraddizioni che caratterizzano un settore che invece avrebbe moltissimo da dare al Paese, a maggior ragione in una congiuntura come quella attuale. Evidentemente alcune situazioni, qui neanche accennate, sono legate alla politica (ad esempio le aziende municipalizzate) e non sono direttamente riconducibili alla politica ambientale di un paese.

Quello che spero verrà intuito è che questo settore è carico di potenzialità inespresse e, se liberato dai troppi vincoli che lo mortificano attualmente, potrebbe in tempi neanche troppo lunghi – anche se non non immediati – diventare un elemento di rilancio per molte zone del Paese attualmente depresse, e ancor di più un esempio per altri campi. Infine non può non essere un’eccellenza per quello che fino a non molto tempo fa era noto come il Belpaese! (noodls)

di Simone Paoli

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