La rinascita di Maria sulla via del ritorno

la rinascita

Marzo 1993. Maria è una bellissima donna. Fin da bambina è stata sempre trattata come una femmina anche se all’anagrafe risulta essere un maschio di nome Mario. In realtà di maschile ha solo un organo genitale che non fa altro che complicarle la vita. Quando la incontriamo tra le pagine di Il ritorno di Marco Vichi, Maria si è appena sottoposta a un intervento per la transizione di genere ed è pronta a tornare in Italia con un corpo che finalmente le corrisponde. 

Il suo destino si intreccia imprevedibilmente con quelli dell’anziano Zubick e della moglie Lubjanca. I due coniugi vivono nella Bosnia travagliata dal conflitto contro i serbi e mantengono la loro bontà e il loro coraggio nonostante i bombardamenti e la perdita della figlia Tianack. Sembra quasi impossibile che due realtà così diverse possano confluire in un’unica narrazione. Invece se leggiamo Il ritorno ci accorgiamo che una donna battezzata Mario e due umili bosniaci sotto i bombardamenti possono avere in comune più di quanto non si pensi. Appartengono alla stessa categoria: quella dell’umanità offesa, della marginalità, della dignità che resiste.

La rinascita di Maria

Maria ha un passato difficile alle spalle. Un’infanzia segnata dall’abbandono da parte della madre e dalla presenza di un padre sregolato. Una giovinezza rovinata dalla droga e dalla prostituzione. E poi quel corpo non completamente femminile che pone una barriera tra ciò che appare e ciò che è, tra ciò che ha e ciò che desidera… Ma fin da piccola Maria ha una grande capacità di immaginazione. Immaginare le dà la forza di sognare, di cambiare. Quella a cui si sottopone non è una semplice operazione, è una speranza di palingenesi, il punto di svolta di una vicenda umana complessa. «La tua morte è la mia libertà» dice all’inizio del romanzo guardandosi allo specchio e rivolgendosi a Mario, il vecchio sé. 

Ora che questa libertà è stata conquistata non resta che lasciare la Turchia e tornare in Italia. Ma il viaggio di ritorno si rivela più complesso del previsto. Subisce una battuta d’arresto in Bosnia e proprio qui arriverà la vera rivoluzione nella vita di Maria. Nello spazio ristretto di una cittadina senza nome troverà tutto quello che le è mancato per una vita intera. In particolare, grazie a Zubick e Lubjanca sperimenterà cosa significa avere una famiglia che la ama e la protegge.

La comunicazione silenziosa

Ciò che sorprende nella costituzione di questi legami è il ruolo limitato della comunicazione verbale. I dialoghi sono presenti nel romanzo, ma nelle parti dedicate all’ avventura bosniaca di Maria non sono così frequenti, anche perché nessuno eccetto Zubick comprende la lingua italiana. Eppure la comunicazione funziona lo stesso. Quando non c’è Zubick a fare da interprete, a parlare sono i gesti affettuosi, gli sguardi, le espressioni. Un linguaggio non verbale puntualmente registrato da una scrittura che procede per lunghi periodi creando un flusso di coscienza continuo che si infila nelle intercapedini degli eventi fino ad agguantarne l’essenza. 

Un personaggio particolarmente caratterizzato dalla comunicazione silenziosa è Lubjanca. Conosce solo la lingua bosniaca, non può comunicare direttamente con Maria eppure il suo affetto materno travalica la barriera linguistica e la porta ad essere molto in sintonia con la sua “figlia acquisita”. Le rivolge le sue premure e sa decifrare i suoi stati d’animo come una vera madre. Pur non sapendo niente sul suo passato, le vuole bene perché le ricorda sua figlia e perché di lei conosce solo l’essenziale, vede solo ciò che è qui e ora. 

Precarietà e eroismo

A questo punto si potrebbe dire che per Maria ci siano tutti i presupposti per iniziare una nuova vita. Ma la presenza costante della guerra dà all’intera storia un senso di precarietà. Tutto può andare perduto da un momento all’altro, spazzato via da una bomba serba o dalle devastazioni di un commando di militari. Tuttavia è proprio quando le cose saranno sul punto di precipitare che i protagonisti di Il ritorno sapranno tirare fuori la propria carica eroica, sacrificandosi o resistendo. Dando prova che non servono eroi da poema epico per dimostrare che la violenza non ha mai davvero l’ultima parola. 

Foto di MythologyArt da Pixabay

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