La rivolta di Tor Sapienza

TOR-SAPIENZA-619x270Sono ormai diverse notti che gli abitanti di Tor Sapienza, quartiere di Roma, manifestano contro il degrado e la presenza di un centro di accoglienza per immigrati, i cui residenti sono accusati di essere una delle cause principali dell’aumento dei furti, dei danneggiamenti, vandalismi che affliggono ormai la zona.

Il problema della presenza di immigrati stranieri, non solo di Roma ma anche di molte città italiane, soprattutto quelle più grandi è ormai un dato di fatto.

Se Roma piange le altre città d’Europa non ridono. A Londra, alcune zone sono soprannominate Londonistan, termine dispregiativo per definire quelle aree a maggioranza di immigrati di religione islamica, o Parigi con le sue Banlieue, fino anche alla stessa Bruxelles sede del Parlamento Europeo ormai devono fare i conti con queste realtà.

Sempre più sono quelli che definiscono l’arrivo di queste masse di immigrati come una vera e propria “invasione” che punta al sovvertimento delle nazioni europee.

A sostenere questa tesi c’è la constatazione che, se è vero che molti migranti pagano migliaia di dollari per poter clandestinamente espatriare, non si capisce come molti di questi possano permettersi tali cifre, considerando che il reddito procapite in molti paesi non supera poche decine di dollari.

La risposta a queste obiezioni è quella del controllo di questi flussi da parte delle organizzazioni criminali, che utilizzano questi disperati per poterli sfruttare in attività illegali. Le donne nella prostituzione, gli uomini nelle attività criminali o nella manovalanza in lavori pagati pochissimo.

Le polemiche anche a livello Unione Europea sono durissime. I Paesi si accusano a vicenda di non fare controlli accurati, di non investire risorse, di non attuare politiche sociali di integrazione.

Ma anche i regolamenti dell’Unione Europea in materia di aiuto ai rifugiati, e in tema di immigrazione sono di fatto obsoleti e lasciano troppa discrezionalità.

Il Regolamento di Dublino dell’Unione Europea, stabilisce che il primo paese in cui un immigrato mette piede, sia responsabile di accettare e controllare se il richiedente ha diritto d’asilo. Teoricamente quelli che non rientrano in questo tipo di immigrazione, devono essere espulsi. Questo pone i Paesi dell’Europa meridionale, Italia, Grecia Spagna in prima linea, costretti ad avere a che fare con un numero sproporzionato di migranti in arrivo dal Nord Africa.

Basta infatti riuscire ad arrivare in uno di questi paesi, anche una piccola isola come Lampedusa per esser accettati in Europa. Naturalmente nessuno dei clandestini ha un documento che ne attesti la nazione di provenienza, e quindi anche l’eventuale diritto di asilo, e quindi come si dice il gioco è fatto.

Arrivati in Italia l’importante è non finire nei centri di accoglienza, in modo tale da poter a quel punto muoversi con reti di appoggio (parentali, religiose etniche) all’interno dell’Unione Europea.

Cosa c’entra Tor Pignattara? C’entra perché le periferie sono diventate luoghi di “accatto” di tutti quelli che non hanno quella rete di protezione, che può garantire di resistere al primo impatto nel paese straniero, o non sono in grado di inserirsi nella realtà di arrivo es. problemi di salute, anche mentale, incapacità di vivere fuori dell’ambiente di provenienza, ecc.

Questi gruppi sono affidati piccole organizzazioni di volontariato che tentano in qualche modo di portare assistenza, sempre che i servizi sociali istituzionali siano in grado di garantire un minimo di copertura economica e di impegno. Ovviamente non possono fare di più, subendo anche le accuse di sfruttare questi problemi per arricchirsi.

Su questo e sulle spese che i Comuni mettono a disposizione la polemica divampa.

Il problema rimbalza sulle pubbliche amministrazioni comunali e nazionali, che allo stato attuale si dimostrano sempre di più di non essere in grado di gestire queste emergenze.

Prima di tutto sul piano politico a livello nazionale, non si riesce assolutamente a trovare un minimo di coesione che possa in qualche modo stabilire una strategia comune. Tipico esempio sono il problema delle espulsioni, dei rimpatri per chi non ha diritto, e in ultimo le politiche di soccorso in mare.

Ragionare in termini di “accoglienza”, di supporto, di una possibile integrazione, sono naturalmente ottimi approcci al problema, ma considerare i migranti come una unica entità è un gravissimo errore, perché le provenienze religiose ed etniche portano con loro a sostanziali differenze, per non parlare di eventuali conflitti interni ai paesi di provenienza.

Quindi i gruppi si dividono, anche e soprattutto per una capacità di riuscire a vivere in un paese con costumi, religioni e soprattutto modelli economici diversi.

La concentrazione di questi gruppi in uniche realtà, puntando solo ad un supporto di sopravvivenza, crea esclusivamente degli ulteriori ghetti, che o esplodono per conto loro o finiscono per entrare in conflitto con la realtà circostante.

Sembra tutto banale ma in realtà la complessità del problema supera il classico metodo di affrontare le cose come “affari correnti” tipico italiano, senza avere una strategia di intervento nel lungo periodo.

E gli effetti sono questi.

di Gianfranco Marullo

 

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