La rivoluzione francese della cottura

la rivoluzione

Ai primi del 1500 la caduta del Ducato di Milano e di Ludovico Maria Sforza detto il Moro segnarono l’ascesa della Francia come Potenza europea e anche la nascita di quell’egemonia culinaria francese che raggiunse il suo apice tra il settecento e il primo novecento quando la Francia, divenuta il punto di riferimento della gastronomia europea, riscrisse le regole della cucina e v’impose la sua lingua.

Un processo in cui l’apporto di Caterina de’ Medici, donna di grande cultura e potere, fu, malgrado ciò che comunemente si racconta, insignificante.

Fu inventato, infatti, dagli stessi francesi per denigrare Caterina alla quale l’Encyclopedie di Diderot attribuì l’accesso a corte di una «foule d’Italiens voluptueux» (folla d’italiani voluttuosi), altro che valenti cuochi!

Del resto nella ricca letteratura culinaria francese gli unici riconoscimenti alla cucina italiana sono tradizionalmente le salse al pomodoro, il risotto e i vari tipi di pasta: cibi assai difficilmente riconducibili, anche per ragioni storiche, alla corte medicea.

Le tecniche di cottura «alla francese»

Non sappiamo se le tecniche di cottura «alla francese» siano state inventate dai cuochi transalpini o se se ne siano solo appropriati beneficiando dell’apporto dei cuochi di ogni provenienza che giunsero a Parigi, inizialmente a servizio della nobiltà e poi nei ristoranti.

Tecniche che, spesso ignorandone l’origine, applichiamo ancora.

La prima è la brasatura, probabilmene originaria del Piemonte, che consiste nel cuocere, a calore moderato e in poco grasso, in un recipiente coperto.

Particolarmente utilizzata da Carême e da Escoffier, ma praticata anche dalla cucina orientale, è la cottura «sauté» che consiste nel saltare brevemente l’alimento in poca materia grassa bollente.

Vi è poi la cottura «al gratin», in cui un alimento, solitamente dopo una precottura iniziale, viene ricoperto di olio o da una salsa grassa (normalmente a base di latte, burro, uova e formaggi) e poi da uno strato di pane grattugiato in modo da creare in padella, o più spesso in forno, una crosticina.

Di grande effetto la cottura «flambé» in cui ad un alimento (salato o più spesso dolce) viene aggiunto un liquore, tradizionalmente il Grand Marnier, che viene infiammato direttamente in sala.

Il «confit» è invece la cottura in una miscela aromatizzata di acqua, zucchero e grassi riscaldata senza raggiungere il punto di ebollizione.

Infine il «court-bouillon», il liquido aromatizzato bollente nel quale vengono cotti, per un tempo brevissimo, pesci o crostacei, in una speciale pentola ovale contenente un cestello che impedisce la completa sommersione degli alimenti.

La moltiplicazione degli strumenti di cucina

Oltre ad inventare nuove tecniche di cottura, i francesi perfezionarono quelle preesistenti moltiplicando gli strumenti di cucina.

Nel 1853 Giovanni Felice Luraschi, nel suo «Nuovo Cuoco Milanese Economico» descriveva ben 32 elementi della batteria di cucina «all’uso francese»: un numero spropositato se raffrontato al corredo illustrato nell’«Opera» di Bartolomeo Scappi del 1570.

A spronare il miglioramento degli utensili di cucina e l’invenzione di nuovi furono l’ingresso in cucina della chimica e la specializzazione.

Scriverà Escoffier ai primi del ‘900: «C’est par la chimie qu’on est arrivé à connaître les diverses propriétés des substances alimentaires» (È attraverso la chimica che siamo arrivati a conoscere le varie proprietà delle sostanze alimentari).

Grazie alla chimica si comprese che una pentola per bollire deve avere i bordi alti per rallentare l’evaporazione, mentre al contrario una padella per friggere deve averli bassi per far evaporare rapidamente i liquidi dell’alimento e renderlo croccante.

La specializzazione, che sostituì i cuochi ed i loro aiuti ai garzoni tuttofare e che costrinse alla fine Escoffier ad organizzare il personale in una brigata di stampo militare, stimolò i cuochi ad inventare strumenti specifici per i loro compiti, come la «sauteuse», dai bordi arrotondati, per la cottura al salto, mentre la chimica, avvalendosi anche dei progressi della metallurgia, ne suggerì la forma, le dimensioni ed i materiali.

Nuovi strumenti, come la «Cucina Rumford» – inventata all’inizio dell’800 dal fisico inglese Benjamin Thompson, Conte di Rumford, e che aveva una serie di serie di fuochi, a tiraggio regolabile, sopra ognuno dei quali si trovava un’apertura circolare con bordi in ferro ove inserire le pentole – sostituirono i vecchi focolari avvicinando i cuochi alle fonti di calore e permettendo una migliore sorveglianza della cottura.

Con l’ingresso nelle cucine, rompendo il monopolio millenario dei fornai, dei primi forni a carbone fu inventata la pentola «cocotte», inizialmente in ghisa, che poteva tranquillamente passare dalla cottura sul fornello a quella in forno.

Ovviamente non furono solo i francesi a beneficiare dei nuovi strumenti e delle nuove tecniche, ma questo non fece altro che accrescere il prestigio della cucina francese che s’identificò nell’alta cucina («haute cuisine») e fece scuola, trasformando la cottura da arte a scienza.

Ancora oggi, anche se la denominazione francese di alcuni strumenti e di alcune tecniche è rimasta appannaggio dei professionisti, quando cuociamo anche l’alimento più semplice come un uovo «à la coque» non possiamo non dirci francesi.

Foto di Foto-RaBe da Pixabay

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