Non esiste sicurezza alimentare senza un uso parsimonioso e una gestione accurata delle risorse naturali, nonché modelli di consumo e di produzione sostenibili. Se produrre cibo è indispensabile, la sicurezza negli – e degli – alimenti dovrebbe essere al primo posto dell’agenda politica globale.
A tal proposito, vogliamo offrire una breve riflessione sul connubio, troppo spesso dato per scontato, tra sicurezza e alimentazione.
Cibo sicuro e “al sicuro”
Parlando di sicurezza alimentare dobbiamo innanzitutto tener presente la distinzione esistente tra la sicurezza degli alimenti e la sicurezza relativa al mangiare bene. Questa importante considerazione concettuale, sebbene sia trascurata dalla lingua italiana, trova invece un significato nelle rispettive espressioni inglesi di “food safety” e “food security”. Mentre la prima si concentra sugli aspetti sostanzialmente igienico-sanitari e sul rischio legato alla digestione del cibo, la seconda, la sicurezza alimentare nella sua più ampia accezione, riguarda i problemi connessi alla fame nel mondo e alla questione di accesso al cibo.
Il concetto di sicurezza alimentare va oltre la semplice disponibilità di cibo sufficiente per tutti. Essa si estende a un accesso generalizzato ad alimenti freschi, sicuri e nutrienti, in grado di soddisfare una gamma diversificata di esigenze sanitarie e culturali, che al contempo non comprometta l’ecosistema e le sue risorse. In una prospettiva di sviluppo sostenibile, l’attenzione di coniugare produzione e accesso sicuro al cibo non può non considerare il modo di fare agricoltura e, più in generale, del mondo rurale e commerciale.
Accesso al cibo
La definizione del 1986 della Banca Mondiale stabilisce il diretto e imprescindibile collegamento tra cibo e salute. La sicurezza alimentare non si basa soltanto sulla disponibilità di cibo (produzione), né sul solo accesso al cibo. Pertanto, se precedentemente la salute veniva data per scontata in una situazione di disponibilità di cibo (se mangio, sono in salute), a partire dal 1986 questa visione diventa eccessivamente minimalista.
La malnutrizione non è esclusivamente assenza di cibo ma anche mancato apporto di valori nutrizionali necessari e inadeguatezza nella preparazione del cibo.
In seguito al World Food Summit (Vertice Mondiale sull’Alimentazione) del 1996, si giunge ad una definizione ancor più completa e inclusiva. La sicurezza alimentare, a livello individuale, familiare, nazionale, regionale e globale, è raggiunta quando tutti gli individui e tutti i popoli hanno la possibilità di accedere fisicamente ed economicamente ad un cibo sufficiente, sicuro e nutriente, in grado di soddisfare i bisogni di una dieta alimentare, nonché le preferenze alimentari, per una vita attiva e salutare. Quest’ultima definizione inserisce il concetto di nutrizione e spiega perché la sicurezza degli alimenti debba incondizionatamente essere parte della sicurezza alimentare.
Pandemia e sicurezza alimentare
L’obiettivo di garantire la salubrità degli alimenti, rispettando contemporaneamente l’ecosistema e uno sviluppo socio-economico globale, diventa forse ancor più rilevante alla luce della pandemia di coronavirus e ai rischi sanitari e alimentari che sono in qualche modo a essa connessi.
In che modo la pandemia può colpire i sistemi alimentari, la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza agricoli? Che ruolo hanno gli animali nella trasmissione della malattia? Sono solo alcune delle domande che l’emergenza Covid-19 ha sollevato e che sono ancora in attesa di trovare risposte e misure adeguate.
Un recente studio scientifico mette in luce il probabile cambio di paradigma che questa pandemia ci richiede di adottare, suggerendoci un intervento regolativo in merito al consumo e al commercio di animali selvatici. Nello specifico, si ipotizza una rivisitazione di priorità. Piuttosto che mobilitarsi per la protezione della fauna selvatica sulla base di principi etici e animalisti, è oggi probabile che i cittadini richiedano una regolamentazione della fauna al fine di proteggere in primis la propria salute di consumatori.
Appello alle politiche agricole
Sappiamo tuttavia che il Coronavirus, così come quasi i tre quarti delle malattie infettive trasmesse dagli animali – tra cui SARS e Ebola – non è stato creato in un’azienda agricola, ma molto verosimilmente ha avuto origine nella fauna selvatica. A chiarirlo è il professor Hans Nauwynck, direttore del Laboratorio di virologia della Facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Ghent. I primi risultati di diversi studi scientifici indicano, infatti, che il bestiame domestico (nello specifico maiali, polli, anatre) non possa essere infettato da Covid-19.
Sono dichiarazioni importantissime, che vedranno probabilmente la necessità di ulteriori conferme, ma i cui esiti servono a escludere potenziali danni al comparto della zootecnia e di tutta la filiera italiana, già compromessa. Pertanto “non si strumentalizzi il virus contro le produzioni animali” – raccomandano e scongiurano gli esperti ( cfr. Progetto “Carni Sostenibili”).
Scrivi