Il preincarico che il Presidente della Repubblica aveva commissionato, lo scorso 22 marzo, al leader democratico Pier Luigi Bersani, lanciando quest’ultimo nell’odissea delle consultazioni post-elettorali, ha avuto, come previsto, un esito non dirimente. Nella serata di ieri Donato Marra, il segretario generale del Quirinale, ha fatto sapere che «il Capo dello Stato si è riservato di prendere, senza indugio, iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale».
Era solo una formalità. Il Movimento 5 Stelle ha improntato la campagna elettorale – svoltasi diffusamente in rete – all’anti-partitismo polarizzato, fonte primaria della storia politico-istituzionale del nostro Paese; una volta entrato in Parlamento, ancorché fra qualche incertezza iniziale, il movimento, per la somma volontà di B.G., ha proseguito con oltranzismo sulla strada dell’uno-contro-tutti, impedendo ipso facto la formazione di un governo “tradizionale” in grado di trascinare l’Italia fuori dal marasma economico-sociale.
L’asfissiante coerenza dei parlamentari a Cinque Stelle ha costretto Bersani ad un’amara presa di consapevolezza: un governo a guida Pd non avrebbe modo d’esistere, o almeno non con questi presupposti. I numeri sono imperativi, intransigenti e non possono essere ignorati. D’altra parte, il leader Democrat si è più volte detto contrario ad un governo d’intesa con l’asse Pdl-Lega; l’ultima conferma, inequivocabile, l’abbiamo dedotta dalla succinta conferenza stampa che lo stesso Bersani ha tenuto ieri, subito dopo l’incontro con Napolitano, quando un giornalista di Servizio Pubblico ha messo in luce l’evidente necessità di trovare un accordo con Berlusconi, affinché non si presenti la costrizione di tornare alle elezioni. La risposta ha un retrogusto esemplificativo: «Non la metta così».
Da oggi riprenderanno gli incontri al Quirinale fra gli esponenti delle parti politiche e la presidenza della Repubblica. Nel primo, previsto per questa mattina alle 11, Alfano – presumibilmente accompagnato da Silvio Berlusconi – porrà le condizioni del Pdl, rigorosamente vincolanti rispetto alla concessione di una fiducia parziale, concentrata su specifici punti programmatici; nel pomeriggio sarà poi la volta delle forze di centro e, ancora, del Pd. Ci si aspetta che Giorgio Napolitano si affacci dall’altra parte della cortina, e conceda un nuovo preincarico alla coalizione il cui candidato premier è proprio Angelino Alfano. Quest’ultimo dovrà rivolgersi senz’altro a deputati e senatori di Scelta Civica eletti con Monti, sperando di ottenere le giuste garanzie per una collaborazione a medio termine; risulta difficile, tuttavia, immaginare che la renitenza già ostentata da Grillo per il Partito Democratico possa trasformarsi in un senso di responsabilità politica al turno dei moderati.
Tale immobilismo istituzionale, già fortemente compromettente, risulta esacerbato dalla coincidenza con il semestre bianco: qualora il Capo dello Stato realizzi che non ci sono le condizioni perché qualcuno sia in grado di tracciare la linea dell’esecutivo, non potrebbe comunque sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, che pure risultano, al momento, l’ultima spiaggia.
di Andrea Capati
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