La verità e la solitudine del giovane Holden

la verità

Nel capitolo XII di Il giovane Holden (1951), troviamo il sedicenne Holden che — nel suo peregrinare senza meta dopo essere stato cacciato dall’ennesima scuola — raggiunge un locale newyorkese in cui si suona musica jazz. C’è molta gente, a stento si riesce «a lasciare il soprabito nel guardaroba». Però c’è silenzio perché  il «vecchio» Ernie si sta esibendo al piano. Holden lo ascolta, e pare essere l’unico a riuscire a guardare oltre i virtuosismi fumosi del pianista e ad accorgersi della sua totale mancanza di talento.

«Almeno tre coppie, vicino a me, stavano aspettando un tavolo, e si davano un gran da fare a spingere e a rizzarsi sulla punta dei piedi per vedere il vecchio Ernie che suonava. […] Come si chiama la canzone che stava suonando quando entrai non lo so con sicurezza, ma qualunque fosse, la stava proprio massacrando. Infronzolava le note alte con tutti quei cretinissimi trilletti da gigione, e un sacco di ghirigori complicati che mi fanno girare ben bene le scatole. Ma dovevate sentire la gente alla fine. Roba da vomitare. Avevano perso la testa». 

La capacità di saper smascherare la realtà

Una delle più grandi capacità di Holden è quella di saper smascherare la realtà, riportandola al netto di tutte le falsità e le ipocrisie che normalmente ne alterano il volto. Lo fa spontaneamente, proprio per questo non capisce come ciò che ai suoi occhi appare tanto chiaro possa essere completamente ignorato dagli altri. Davanti agli applausi tributati a Ernie, Holden arriva alla conclusione che «la gente batte sempre le mani per le cose sbagliate» perché non sa o non vuole vedere la verità.  E addirittura afferma: «se fossi un pianista o un attore o qualcosa del genere, e tutti quei cretini mi trovassero fantastico, per me sarebbe tremendo. Non vorrei nemmeno i loro battimani. […] Se fossi un pianista, suonerei in uno sgabuzzino, accidenti». 

Meglio essere ignorati anche se talentuosi che venire applauditi per la propria mediocrità. Un pensiero che porta con sé una visione piuttosto spietata della società, dipinta come cieca e vuota. Questa visione percorre sotto traccia tutto il romanzo e si configura come il prodotto schietto dell’acume e del rancore di un adolescente particolarmente intelligente che ha un disperato bisogno di mettere tutto in discussione per trovare il suo posto nel mondo. 

La ribellione e la solitudine

Quella di Holden è in piena regola una ribellione contro la società borghese e conformista a cui lui stesso appartiene. Una contestazione solitaria condotta con le armi del pensiero e della parola, ma che ha anche un grosso effetto collaterale: la solitudine. Più di una volta nel romanzo Holden dice di non aver voglia di starsene da solo e si attiva per cercare compagnia. Tuttavia gli incontri sono quasi sempre fallimentari perché non rispondono in modo adeguato alla solitudine esistenziale che lo attanaglia.

Holden si sente fondamentalmente incompreso, e questo alimenta quella vulnerabilità che lo rende profondamente umano e ce lo fa sentire vicino. Infatti chiunque si sia sentito solo davanti alle incoerenze della realtà e perso nella disperata ricerca della propria identità può riconoscersi nella sua storia.

Foto di Cindy Parks da Pixabay

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