Ha vinto Donald Trump o perso Hillary Clinton? Questa domanda, un po’ oziosa per la verità, è classica quando un pronostico dato per certo si ribalta completamente. Tanto per capirsi, si è di fronte al famoso assunto che quando il forte (in questo caso Hillary Clinton) perde, non è perchè ha vinto il debole (Donald Trump), ma perchè il forte ha sbagliato qualcosa e ha perso. E’ un modo un pò supponente di esorcizzare una sconfitta, non rendendo giustizia all’avversario. Implicitamente, ma non lo si vuole ammettere, questo modo di pensare non fa altro che confermare le capacità dell’avversario. Quello che gli sconfitti, che si sentono superiori, non vogliono accettare.
Nello scontro politico tra Trump e Clinton è avvenuto proprio questo, e la sconfitta per i Democratici e i loro sostenitori, nazionali ed esteri, è ancora più bruciante proprio perchè il canto di una sicura vittoria aveva accompagnato fin dall’inizio la campagna elettorale del Partito Democartico e di Hillary Clinton.
Trump e il Partito Repubblicano
Non ha vinto solo Donald Trump ma ha vinto tutto il Partito Repubblicano, tanto da avere la maggioranza al Senato ma anche alla Camera dei Rappresentanti. E questo in politica conta molto, significa cioè che la strategia del GOP, al netto di Trump, è stata efficace, molto di più di quella del Partito democratico. Evidentemente il partito repubblicano ha capito che la sconfitta di Trump sarebbe stata un disastro con la perdita di importanti seggi, soprattutto al Senato e quindi si è strategicamente lavorato per conquistare i famosi “swing states“.
L’indipendenza di Trump
Trump si è proposto come un “indipendente” anche al’interno del Partito Repubblicano creando all’inizio forti contrasti tra Trump ed il GOP, ma alla fine questo ha giocato a suo favore, perchè l’elettotrato lo ha considerato come qualcuno che finalmente poteva “rompere” lo status quo della politica americana.
La sua campagna elettorale è stata tutta in attacco, e per far questo ha usato un linguaggio duro, “politically uncorrect” fuori degli schemi, ma anche ben dosato. Anche il suo slogan “Make American Great Again” ha dato un senso di “rinascita”, molto simile a quella di Reagan, toccando le corde di una identità del popolo americano, vittima delle lobbies economiche, dei trattati economici capestro.
Questo suo modo di essere e di parlare è stata la vera arma vincente di Trump. I democratici sono stati sempre obbligati a rincorrelo, spostando la logica delel campagna elettorale non su un loro programma specifico, piuttosto confuso, ma una continua risposta alle affermazioni di Trump.
Per la Clinton chi vota Trump è “deplorables“
Questa difficoltà si è evidenziata quando Hillary Clinton ha commesso il grave errore mediatico di definire i possibili elettori di Trump “basket deplorables” ovvero un “cestino di persone senza speranza, rifiuti”. In quel momento si è avuta la certezza che Trump era una vera minaccia per il Partito democratico e per la possibile vittoria di Hillary Clinton. A nulla sono valse le accuse di sessismo, di pesudoscandali sessuali o di razzismo. L’elettore di Trump si è sentito offeso da una spocchia perbenista di un candidato su cui aleggiavano scandali per uso fondi privati e disastri in politica internazionale. Proprio per questo ha rinsaldato le fila a favore di Trump, mentre sempre di più tentennava il voto verso la Clinton.
Trump e la “Rust belt”
Trump ha detto che il suo è “un movimento non una campagna.” “The Donald” Trump ha puntato su alcuni Stati come il Michigan e Wisconsin e la Pennsylvania da tutti dichiarati “of limits” per i repubblicani. Proprio in questi stati definiti la “Rust Belt” ovvero la “cintura della ruggine“, cioè quei luoghi dove centinaia di aziende hanno chiuso, lasciando “arrugginire” gli impianti abbandonati Trump ha costruito la sua vittoria. Il reddito dei cittadini in queste aree si è ridotto talmente da portare la popolazione meno istruita alla soglia della povertà. Questo impoverimento, secondo Trump è stato causato dagli accordi del NAFTA, con la delocalizzazione di aziende in Messico, senza dazi doganali. Molte di queste aziende lavorano con le comemsse del Governo. Insomma il Governo USA garantisce gli investimenti, solo se questi vengono fatti all’estero. Non solo Trump, ma in verita anche Bernie Sanders, guarda caso fatto fuori dai democratici pur avendo buone possibilità di vittoria, hanno definito questi accordi “i peggiori accordi commerciali mai stipulati”.
Bruce Springsteen non canta “My Hometown”
Bruce Springsteen “The Boss” è sempre stato un accanito sostenitore del Partito democratico. Il Boss ha fatto la sua parte ancora una volta nel 2016, ad un raduno a Philadelphia alla presenza di Bill e Hillary Clinton e Barack e Michelle Obama. Springsteen, ha suonato tre canzoni ma stranamente non una delle sue più famose “My Hometown“.
La canzone che era proprio il simbolo delle “Rust Belt“. “Adesso sulla strada principale ci sono solo vetrine imbiancate e negozi vuoti sembra che nessuno voglia più venire quaggiù stanno chiudendo lo stabilimento tessile dall’altra parte della ferrovia il caporeparto dice – questi posti di lavoro se ne stanno andando, ragazzi e non torneranno mai più nella vostra città…….”
Forse ai Clinton questa canzone del Boss non piaceva, troppo vera, troppo “trumpiana”, e quindi era meglio non farla cantare. L’ha cantata l’elettorato, che ha fatto vincere Trump.
di Gianfranco Marullo
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