L’amore è il più grande comandamento, sintesi altissima di tutti gli altri

comunicazione coppiaLa liturgia domenicale odierna ci offre una delle pagine evangeliche più belle e conosciute anche se, purtroppo, messa in pratica da pochi; essa ha rappresentato e rappresenta ancora oggi la fonte ispiratrice a cui ricorrono numerosi artisti e pittori. Attraverso la narrazione della parabola del buon samaritano, la liturgia oggi ci invita a riflettere sul grande comandamento dell’amore, sintesi altissima di tutti gli altri comandamenti.

Perciò, osserviamo la pagina evangelica e anche noi, insieme al dottore della legge, domandiamo a Gesù: “Che cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna?” (cf Lc 10, 25). La risposta del Maestro sarà la medesima; Egli, infatti, consegna anche a noi il grande comandamento dell’amore e ci dice: “Ama il Signore tuo Dio ed ama il prossimo come te stesso” (cf Lc 10, 27). Nella parabola del buon samaritano, invece, Gesù ci indica le modalità per amare il prossimo. Ma procediamo con ordine. Il dottore della legge formula a Gesù due domande precise: “Che cosa devo fare?” e “Chi è il mio prossimo?” Alla prima domanda risponde papa Benedetto XVI, che nel messaggio per la XXV GMG si esprimeva così: “La stagione della vita in cui siete immersi è il momento di interrogarvi sul senso autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C’è qualcosa che manca?” Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Non abbiate paura della sua risposta!” Il monito del Papa vale anche per noi e in altre parole, “mettersi in ascolto di Dio” significa che Dio deve essere al centro e il centro della nostra vita. “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?”

Questa domanda del dottore della Legge, rivolta a Gesù per metterlo in difficoltà, è lontana dalle nostre preoccupazioni, soprattutto oggi. Infatti, non siamo noi coloro ai quali il mondo e il progresso danno la felicità? Eppure la domanda di senso sulla vita eterna ce la poniamo solo in momenti particolari della nostra vita, forse quando perdiamo una persona cara o viviamo la frustrazione dell’insuccesso. Ma cos’è la “vita eterna” cui si riferisce il dottore della legge? Essa – come dice Gesù – è la via dell’eterna felicità, il momento in cui saremo riempiti per sempre dall’amore di Dio. Interrogarci sul nostro futuro aiuta a dare un senso pieno all’esistenza; ci porta ad amare il mondo, come Dio stesso lo ha amato; ci sprona a dedicarci al suo sviluppo e al suo progresso, dimensioni queste, finalizzate unicamente alla difesa del bene comune, attraverso la libertà e la gioia che nascono dalla fede, dalla speranza e dall’amore cristiano. “Che cos’è la vita eterna?”, inoltre, è una domanda che ci aiuta a non assolutizzare le cose terrene e a sentirci – come ci esorta sant’Agostino – “pellegrini quaggiù”. Carissimi, abbiamo estrema cura del nostro progetto di vita: tutto tende ed è chiamato a vivere di eternità, a partire da qui, perché Dio ci ha creati per stare con Lui, sempre. Solo se seguiamo la linea di quest’orizzonte daremo qualità alla nostra esistenza e il dottore della Legge è pienamente convinto di tale orizzonte, ma quasi ad insistere, vuole porre una seconda domanda, che rimane sempre di grande attualità: “Chi è il mio prossimo?”. Risposta facile a parole ma difficile a fatti. I nostri sentimenti di umanità si rivolgono subito al malcapitato, al “mezzo morto”, così Gesù lo definisce nel Vangelo. Quanti “mezzi morti” ci sono intorno a noi! E amare il nostro prossimo significa proprio prenderci cura di loro, fermandoci, avendo compassione, facendoci vicini all’altro, senza timore o pregiudizio. Accogliere Dio nella nostra vita significa dirigersi verso gli altri, perchè anche noi, come ha già fatto Dio inviandoci Gesù Cristo, dobbiamo andare verso l’uomo. Ricordiamo l’altro monito di Gesù che è sempre valido e che ci acquista il biglietto per entrare nella vita eterna e a cui prima facevamo riferimento: “Quello che fate ad uno di questi piccoli, lo fate a Me”.

A tal proposito, mi piace proporvi l’esempio del Beato Antonio Rosmini il quale accenna a tre forme di carità, a tre tipologie o modi di amare: la carità corporale, intellettuale e spirituale. La prima forma, quella corporale, è l’amore propriamente umano, quello che per es. può esprimersi tra un uomo e una donna; la seconda forma, quella intellettuale, è il dialogo di che s’instaura tra la fede e la ragione, dimensioni queste, che a colloquio tra loro, si confrontano sulla realtà di Dio; l’ultima, la carità spirituale, è quella più importante perchè racchiude le altre due e rappresenta ciò che di per sé è bene per il prossimo; il Rosmini individua la carità spirituale nella vita eterna. Il samaritano, a differenza dei briganti, del sacerdote e del levita, così come afferma Giovanni Paolo II al n° 84 del documento Chiesa in Europa, “non riesce a vivere senza amore; Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa attivamente”. Che grande insegnamento! Ognuno di noi, nel suo spazio e nel suo tempo è chiamato ad essere un buon samaritano; chiediamo perdono se a volte, forse per egoismo, per interessi, per paura ci piace indossare i panni dei briganti o dell’indifferenza. A volte basta davvero poco per far sorridere chi un sorriso non sa cos’è. Basta poco a rasserenare chi la serenità non sa cos’è. Se i Santi sono tali è perchè hanno dato molta importanza a questo “poco”, facendolo fruttificare per 10, poi per 100 ed anche per 1000. Seguiamo il loro esempio: così facendo anche noi ci costruiremo un posto sicuro in Cielo.

di Fra’ Frasina

foto: Psicologia Salerno

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