A Lampedusa qualcosa si muove e sembra che stavolta i passi vengano fatti nel pieno rispetto della tutela della dignità umana.
Parliamo della Carta di Lampedusa, un Patto costituente sui diritti dei migranti approvato domenica 2 febbraio, attraverso il quale s’intende attuare ” una radicale trasformazione dei rapporti sociali, politici, culturali e giuridici a partire dalla costruzione di un’alternativa fondata sulla libertà e sulle possibilità di vita di tutte e tutti senza preclusione alcuna, che si basi sulla nazionalità, cittadinanza e/o luogo di nascita”.
Insomma una vera rivoluzione copernicana che preannuncia una ferrea battaglia per tutelare ogni tipo di Libertà, a partire dal “riconoscimento che tutte e tutti, in quanto esseri umani, abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune debba essere rispettata”.
Il paragrafo conclusivo della Carta è stato firmato sabato sera, dopo dieci ore di consiglio, ed è stato presentato in Assemblea plenaria domenica mattina, alla presenza degli abitanti dell’isola, dei parenti delle vittime e di attivisti provenienti da ogni parte d’Europa.
Ma veniamo ai punti proposti dagli attivisti che il 15 e il 16 febbraio manifesteranno al Cie di Ponte Galeria e al Mega Cara di Mineo per chiederne la chiusura (ad essi si aggiungeranno i No Muos di Niscemi e alcuni attivisti tedeschi).
Il primo riguarda il progetto di smilitarizzazione dei territori e delle frontiere, che includerebbe abolizione di visti, fee d’ingresso e vincoli fra contratto di lavoro /permesso di soggiorno, fino a quelli richiesti per il ricongiungimento famigliare.
Per farlo occorre innanzitutto abrogare il regolamento Dublino (regolamento 2003/343/CE; ex Convenzione di Dublino) che determina lo Stato membro dell’Unione europea competente ad esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra (art.51).
Esso è costituito dal regolamento Dublino II e dal regolamento EURODAC, e prevede l’istituzione di una banca dati europea delle impronte digitali per i clandestini.
Poi una serie di norme che intendono garantire il diritto al lavoro, all’abitare, al welfare, alla Sanità, istruzione, nonché alla partecipazione politica e sociale attraverso l’esercizio dello Jus soli (in latino “diritto del suolo”), espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nati nel territorio dello Stato, qualunque sia la cittadinanza posseduta dai genitori.
S’intende inoltre lottare affinché siano considerati illegittimi i respingimenti coatti, mentre in parallelo si chiede di aprire nuovi canali per garantire l’incolumità dei clandestini durante i “viaggi della fortuna” e l’apertura di centri di accoglienza auto-organizzati e auto-gestiti.
In contrapposizione ad essi, il Patto prevede di chiudere i Cie, centri di detenzione amministrativa dei migranti, vero crogiolo di violenza e negazione di ogni dignità umana.
Ciò che sta a cuore agli attivisti è comunque il fatto che tale Patto non debba essere considerato come un accordo proposto dalle varie organizzazioni, ma un modo per condividere temi sociali a livello europeo, in vista delle prossime elezioni, quando il nuovo parlamento che s’insedierà a Bruxelles dovrà, forza di causa maggiore, affrontare il problema dei flussi migratori e della sicurezza dei confini.
di Simona Mazza
Scrivi