L’anno che verrà

Il 2019 è iniziato così come si è appena chiuso il 2018, con i rappresentanti dei due maggiori partiti politici, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, costantemente impegnati ad affollare i “social” e a proporre slogan e proclami. È improbabile che non si rendano conto che, disinnescata, non per loro meriti, la bomba della procedura d’infrazione, sia dalle opposizioni, sia dall’Europa, ma, soprattutto dai loro stessi elettori, ci si attenda che le promesse fatte in campagna elettorale trovino, o meno, un riscontro oggettivo.

La coperta, da tutti definita già troppo corta prima della sforbiciata da circa sette miliardi, sta per essere tesa come una pelle di tamburo. Resta quindi da vedere quali – e come – riuscirà a coprire degli impegni elettorali assunti.

In un anno che vedrà gli italiani, ma non solo, alle urne, è difficile credere che la coalizione così faticosamente realizzatasi e non meno faticosamente tenuta in piedi, si sfaldi prima delle prossime tornate elettorali.

Dato però che si voterà tra non molto, ma non domani, per il Governo, il primo ostacolo da superare, non solo in ordine cronologico, sono i provvedimenti attuativi della legge di bilancio. Attualmente sono oltre centosessanta di cui circa la metà hanno scadenze ravvicinatissime e riguardano i maggiori cavalli di battaglia del cosiddetto “ contratto di governo”. Quali le conseguenze di eventuali, probabili, esiti insoddisfacenti per l’elettorato gialloverde?

Inutile dire che il maggior rischio lo corre il Movimento Cinque Stelle con il reddito di cittadinanza, misura oltremodo controversa e di difficile realizzazione con i tempi e le modalità, la riorganizzazione dei centri per l’impiego in primis, prospettate.

Diventa pertanto essenziale presentarsi con l’abito migliore ai prossimi appuntamenti con gli elettori e se è vero che alle elezioni europee ci si può anche permettere il lusso di fare sfoggio di “sovranismo”, possibilmente inteso in maniera meno becera di quanto spesso non venga fatto, alle prossime amministrative molto conterà quanto è stato fatto o non fatto dalle compagini uscenti. In questo senso un assist di lusso ai due “ gemelli diversi” lo fornisce il fatto che in tutte le sei regioni in cui si voterà il “partito di governo” uscente è il PD. Un’ occasione troppo ghiotta da farsi sfuggire per posizionare una pietra tombale sopra il più conflittuale, con se stesso, degli avversari; sarebbe improprio, certamente per la Lega e soprattutto a termine, definire tali Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Ed allora, dalla regia del Movimento, scosso da divisioni e prese di coscienza interne, si gioca la carta Dibba, ovvero Alessandro Di Battista. Molto vicino alla pancia dell’elettorato storico del Movimento rientra anche lui, dal Sud America per pronunciare un pesante “obbedisco”. Ma Dibba non è Garibaldi e la sua capacità di compattare l’elettorato penta stellato è potenzialmente direttamente proporzionale alla crescita delle probabilità che si creino conflitti e collisioni tra i due leaders e i loro rispettivi gruppi politici. Richiamato per la consolidata propensione alla comunicazione a bilanciare il bulimico ricorso ai social di Matteo Salvini, Di Battista rischia di essere per gli alleati di governo fortemente divisivo.

Il prossimo voto in circa la metà dei comuni italiani, quasi tremila e novecento, non può non essere letto, da tutti, elettori del PD compresi, come un test di fondamentale importanza. Ed eccoli allora, in uno scenario che potrebbe essere quello caro ai fratelli Vanzina e alle loro vacanze, presentarsi, sereni e sinceri come una famosa coppia di stilisti italiani in vena di scuse al popolo cinese, per riprendersi la scena con l’ennesimo proclama immediatamente stroncato dal partner di governo.

È davvero questo il piatto che il Governo intende servire agli italiani o sono piuttosto gli avanzi del passato cenone?

Se davvero si volesse usare almeno il buon senso e i numeri a disposizione e far tesoro della carta di valori enunciata dal Presidente Mattarella poche ore fa, non sarebbe impossibile almeno provare a raggiungere qualche risultato positivo. Se solo si avesse il coraggio di ammettere che non ci sono i presupposti per fare per intero quanto – avventatamente- promesso e si accettasse di rinunciare reciprocamente a fette anche consistenti, va detto, di consenso, per realizzare interventi strutturali sulle opere pubbliche, sul contrasto serio all’evasione, sull’emersione del sommerso, sulla sicurezza senza dimenticare solidarietà ed equità, se si prendessero sul serio i dati sulla demografia di questo paese e quanto pesa la zavorra del debito pubblico sulle nostre reali capacità di crescita e di fare sistema, allora forse potrebbe non essere l’ennesima occasione persa, bensì una partita da giocare.

A vent’anni dalla introduzione della moneta unica europea, con una quasi decennale crisi economica se non del tutto superata almeno fortemente ridimensionata, la fine di essenziali misure europee a sostegno dell’economia continentale, delle quali, inutile negarlo, “anche” l’Italia ha tratto vantaggio, il concreto delinearsi di scenari mondiali di contrapposizione economica e geopolitica, la necessità di prendere posizioni risolute sulla salvaguardia dell’ambiente, tutto ciò deve suggerire, se non imporre, prudenza, moderazione e, soprattutto, concretezza.

Nella foto Alessandro Di Battista, fonte: huffingtonpost.it

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