“Poeta non insistere a cantare canzoni piene di malinconia, il pubblico si vuole divertire e se ne frega della tua poesia”.
L’hanno più volte definito il Pasolini della canzone.
Franco Califano, il poeta maledetto, odiato e amato allo stesso tempo, un giocatore d’azzardo che finito in rovina è riuscito a rifondarsi e, nel momento in cui riusciva a tirarsi fuori da situazioni pericolose, già preannunciava che si sarebbe nuovamente rovinato. Il tutto per quel suo gusto spasmodico di andare controcorrente tra vicende di droga, sesso, alcol e disperazione.
Franco Califano è vittima e carnefice della sua stessa vita, dove donne importanti, funzionari discografici, avanzi di galera e pezzi da 90 della politica ne sono stati, insieme al diretto interessato, i principali protagonisti.
Tutto ed il contrario di tutto: Franco Califano o si accetta o si rifiuta.
Fin da subito trova, nel contatto con le persone, una fonte inesauribile di carica vitale. La sua filosofia è caratterizzata da profonda amarezza e, nella canzone, il Califfo trova il modo migliore per esprimerla. E la esprime talmente bene che (addirittura) l’università di New York gli assegna una laurea honoris causa proprio in filosofia!
Nato a Tripoli, ben presto arriva a Roma. Fin da subito vive tra alcove e alberghi, cominciando a farsi conoscere con la sua musica e le sue canzoni. Franco Califano canta le sue perdizioni, il suo mondo; insomma canta se stesso. Fa il verso alle nostre debolezze e ai nostri tic, non lasciandosi commercializzare, ma restando sempre una voce <<libera>>.
Molte frasi delle sue canzoni sono diventate, nel tempo, veri e propri slogan, lampi di genio e lo stesso linguaggio giornalistico ha avuto modo, in tante occasioni, di saccheggiare il suo modo di esprimersi. Nella sua carriera ha scritto più di 1.000 canzoni; ha pubblicato più di 20 album; ha scritto una quantità non indifferente di capolavori per altri cantanti ed interpreti. Da Ornella Vanoni (“La musica è finita”, “Una ragione di più”) a Mia Martini (di Franco Califano il celebre “Minuetto”).
Da Bruno Martino (“E la chiamano estate”) a Fred Bongusto (“Questo nostro grande amore”).
Per non parlare di Peppino Di Capri (“Un grande amore e niente più”), Edoardo Vianello e Wilma
Goich (“Semo gente de borgata”), Mina (“Amanti di valore”). Solo per citarne alcune. Per non parlare, poi, dei suoi successi indimenticabili. Tra questi: “Tac”, “Tutto il resto è noia”, “L’ultimo amico va via”, “La mia libertà” e l’ultima “Non escludo il ritorno”. Ma i suoi capolavori sono anche quei monologhi irriverenti e dissacranti che, di ascoltare, non ci stanchiamo mai. Come “La vacanza di fine settimana”, “Balla ba”, “Piercarlino”. Davvero memorabili.
Il suo amico Franco Melli scrive di lui:
<<Di certo è un poeta maledetto, un cantastorie che affonda le proprie radici in lontane tradizioni da contrada; un antidivo che ride sarcasticamente di tutti i capricci e delle debolezze (anche) dei suoi colleghi.
Ogni volta lascia un’unghiata con una vena triste ed agrodolce, cogliendo al volo le deformazioni degli altri e di se stesso, filtrandole con il suo umorismo da cabaret>>.
E non pago di quanto raccolto in termini musicali, in età matura ci ha addirittura deliziato con una raccolta di poesie (“Voglia di vivere, voglia di morire”), e libri autobiografici come “Soli fino al capolinea” e “Il cuore nel sesso”.
Gli anni 80 sono caratterizzati dalla terribile esperienza della prigionia.
Arrestato per porto abusivo d’armi e traffico di stupefacenti, verrà in seguito assolto “perché il fatto non sussiste”, ma questa esperienza rimarrà indelebile nel Califfo. Le donne, poi, la sua grande passione. Il suo amico Gianfranco Butinar (noto imitatore) ha raccontato ultimamente della rubrica telefonica del califfo come un vero e proprio capolavoro. Piena (ovviamente) di nomi e numeri di donne. Mai un cognome; solo nomi. Arricchiti, però, dall’aggettivo possessivo “mia” quelli delle donne con le quali il “maestro” (Butinar l’ha sempre chiamato così) avesse avuto in passato una relazione.
<<Antonella mia, Barbara mia, Carla mia, … fino ad arrivare anche a Mia mia>>!!!
“… Ho una chitarra per amica e con voce malandata canto e suono la mia libertà. Se sono triste canto piano, se sono in forma canto forte, così affronto la mia sorte. Se non amo grido abbasso e anche se non mi è concesso dico sempre quello che mi va …”.
Questi versi, tratti da “La mia libertà” (1981), probabilmente fotografano al meglio Franco Califano.
Senza alcun compromesso, come lui è sempre stato. Con la sua voglia di vivere al massimo tutto ciò che poteva ed anche un po’ di più. In una delle sue ultime interviste, al giornalista che gli chiedeva della sua vita, vissuta a più non posso senza alcuna limitazione, il maestro rispondeva:
<<… E’ come se mi fossi messo seduto a tavola ed abbia fatto uno di quei pranzi da matrimonio e anche di più. Antipasti su antipasti, 3 o 4 primi piatti, secondi a volontà, contorni, acqua, vino, dolci, spumante, caffè, amaro e avessi goduto nel farlo.
E mò, alla fine, dopo tutta sta’ magnata da mille e una notte … i piatti … so cavoli vostri>>!!! Il 30 Marzo 2013, all’età di 74 anni, Franco Califano muore nella sua casa di Roma.
Grazie <<maestro>>!
“Si accendono le luci su un poeta, ma calerà il sipario su un buffone. Stasera scriverai per la tua vita, la tua più triste ed ultima canzone”.
di Riccardo Fiori
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