Personaggio particolare con una vena polemica sempre viva, Rino Gaetano ha costantemente cercato con le sue canzoni, di deridere e denunciare le malefatte ed i mal vezzi di una società e di un sistema politico con (ahimè) tanto materiale da “cantare”.
Il fatto che le canzoni di Rino Gaetano, di quasi 40 anni fa, siano attualissime, lasciano intendere quanto il nostro “sistema” non si sia affatto evoluto, anzi …
Le sue prime apparizioni avvengono sotto lo pseudonimo di Kammamuri’s, con il quale incide “I love you Marianna” lampante dichiarazione d’amore alla marijuana.
Disco che precede il suo primo LP ufficialmente marchiato Rino Gaetano, dal titolo “Ingresso libero” (1974).
Il disco vede già la presenza dei suoi famosi brani apparentemente con poco senso (“E la vecchia salta con l’asta”), ma anche di malinconiche storie urbane di vita quotidiana (“L’operaio della Fiat”; “Agapito Malteni il ferroviere”).
Un disco in quel momento passato pressoché inosservato.
Nel ’76, per contro, la filastrocca “Il cielo è sempre più blu” fa breccia.
E’ un brano che piace e che tira, anche se viene deciso di non inserirlo nel secondo LP (“Mio fratello è figlio unico”), dove, oltre alla title track, risulta simpatica la stralunata “Berta filava”.
Il suo ormai è uno stile e anche l’anno successivo riserva a Rino non pochi apprezzamenti da critica e pubblico.
“Aida” è un tormentone disincantato che regala sorrisi e malinconia all’ascoltatore.
Poi c’è “Spendi spandi effendi”, ironica e beffarda occhiata ad un tema, in quel momento, di prima attualità.
Il 1978, poi, è l’anno della definitiva consacrazione: “Gianna”, spiritosa e originale, arriva terza a Sanremo (sebbene si vocifera che Rino avrebbe voluto portare un altro brano al festival e che questa scelta fu imposta dai discografici) e “Nuntereggae più” imperversa nei juke box estivi.
Quest’ultima da il titolo all’album che va come mai prima.
Rino, a questo punto, sembra essersi ritagliato un ruolo da giullare disincantato che gli va a genio, ma che allo stesso tempo, paradossalmente, quasi non si aspettava.
Il suo essere dissacrante piace e gli piace, ma non immaginava di poterlo essere.
Il 1979 è l’anno di “Resta vile maschio dove vai?”; altro tormentone ridicolizzante dell’uomo moderno (ma non solo).
Qui si passa dal coccodrillo di “Gianna” al caimano nero di “Ahi Maria”: altra formula vincente e divertente.
Rino piace e diverte; ma qualcosa sembra scricchiolare.
Voci vicine al cantante dicono di una sua profonda ed improvvisa insoddisfazione.
Nel 1980 esce “E io ci sto”. Si tratta dell’ultimo album della sua troppo breve carriera.
Disco che, rispetto ai precedenti, denota una certa latitanza di ispirazione.
E sembra quasi un presentimento. E’ come se volesse trovare la via per uscire dalle solite cantilene, senza riuscire a trovarla.
Ma è proprio in questo disco che si trova il brano secondo me più emblematico in cui malinconia, denuncia ed in un certo senso rassegnazione, si fondono tra loro: “Ti ti ti ti”.
Alcuni dei passaggi più importanti recitano:
“… a te che odi i politici imbrillantinati, che minimizzano i loro reati,
disposti a mandare tutto a puttana pur di salvarsi la dignità mondana.
A te che non ami i servi di partito che ti chiedono il voto, un voto pulito,
partono tutti incendiari e fieri, ma quando arrivano sono tutti pompieri …
… Giuro che la stessa rabbia sto vivendo …
… Stiamo sulla stessa barca io e te…”
Cosa altro aggiungere?
All’inizio dell’81 partecipa ad un tour con Riccardo Cocciante ed i New Trolls.
Nello stesso anno muore, a Roma, in un incidente stradale.
Rino ci manca.
Dagli anni ’90 è praticamente oggetto di una crescente sorta di culto.
Le sue raccolte vanno ancora oggi fortissimo, anche tra quei giovani che tra il ‘70 ed i primi anni ’80 non erano ancora nati.
Molti i cantanti ed i gruppi che si ispirano oggi alle sue tante canzoni ancora attuali, o che, addirittura, ne interpretano cover più o meno fedeli alle versioni originali.
Ma l’ho già detto … Rino ci manca!
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