Agli inizi degli anni 60 un tale John Hammond, scopritore di talenti, fa firmare il primo contratto discografico ad un tale Bob Dylan. 10 anni dopo fa lo stesso con Bruce Springsteen. E questo ragazzo, fin dagli esordi, sembra promettere bene.
“Greetings from Asbury Park, NJ” (1973) è un disco raffinato, di canzoni folk e rock che piace alla critica; meno al pubblico che lo trova frenato nella creatività.
Però lascia intravedere che del <<buono>> c’è.
E sebbene anche il lavoro successivo ci regali canzoni di buona fattura, il Boss deve ancora dimostrare appieno il talento che verrà.
Una nota la merita “Rosalita”, un piccolo gioiello, un inno d’amore che poi, nel tempo, Bruce dedicherà alla sua band, ad ogni tour.
Il 1975 è l’anno di “Born to run”; l’anno dell’esplosione!
Con gli amici di sempre forma la E-Street Band e con loro incide un’opera eccezionale.
8 brani di gran pregio nei cui testi si trovano immagini notturne di ragazzi disincantati dove sentimenti come amore, rabbia e pietà fanno di questo album un classico della musica rock.
La title track (“Born to run”) è un vero colpo di genio del Boss ed un appassionato impegno professionale dei musicisti ingaggiati.
Le leve del rock consentono al Boss di narrare storie di vita quotidiana di uomini qualunque, alle prese con il presente ed in pena per quel futuro che temono possa non essere migliore delle loro aspettative.
“Badlands” e “Factory” (inserite nell’album “Darkness on the edge of the town” del 1978) ne sono un esempio.
Le note d’amore che stemperano questi dubbi esistenziali arrivano con “Prove it all night”.
Oltre all’eccellente vena artistica (musicale e dei testi) di Springsteen, viene apprezzata la dignità che questi riconosce alla classe operaia. Si tratta di temi non facili da cantare ed il pubblico ne apprezza lo sforzo: lo stesso pubblico che segue Bruce con devozione nei suoi concerti.
Un altro disco davvero stupefacente, questo, dove insieme a quelli già citati, anche la stessa “Darkness on the edge of the town” e “Promised land”, diverranno classici del suo repertorio.
Bruce cresce artisticamente e la sua consacrazione passa per album come “The river” (doppio LP) e “Born in the U.S.A.”.
Il primo (1980) è un lavoro pieno di brani dal grande impatto; brani di una vera rockstar.
“The river”, “Out in the street”, “Sherry Darling”, “Hungry heart”, su tutti.
“Born in the U.S.A.” del 1984, è la testimonianza di essere alle prese con una rockstar planetaria.
La title track canta le atrocità della guerra e le denuncia.
E anche la scaletta del disco è semplicemente perfetta: studiata in ogni particolare.
Non esiste un brano meno riuscito o di minore fattura.
Solo grandi successi tra cui segnalo “Glory days”, “I’m on fire” e “Bobby Jean”.
I 2 LP raccontati sono intervallati da “Nebraska”, un lavoro molto particolare, registrato in casa in maniera artigianale su un 4 piste, solo chitarra e voce, dove il rock si defila per un esperimento secondo me, riuscito.
Il Boss è sicuramente uno dei migliori artisti live. I suoi fan nei concerti impazziscono letteralmente e non è facile riprodurre su un disco le emozioni che questi vivono on stage, seppure il cofanetto “Live 75-85” resti un buon lavoro.
Nel 1987 esce “Tunnel of love” ed è il ritratto di un altro Bruce.
Innamorato e felice, lascia da parte la rabbia e la lotta cantate fino ad allora ed il suo innamoramento non piace a tutti i suoi fans.
Ma la notizia che più li preoccupa è la voce ricorrente che quello sarà l’ultimo lavoro insieme alla E-Street Band.
In questo album di canzoni <<riflessive>> segnalo “Tougher than the rest” e “Brilliant disguise”.
Nel 1992 Bruce è un uomo ricco, felice e con una famiglia che ama.
Vena artistica ed innato talento non sembrano essersi persi nel tempo e, nonostante gli anni passino anche per il Boss, la figura di eccellente eterno rocker sembra calzargli a pennello.
Resta che, però, la sua band non c’è più e questo si sente … e molto.
La sua musica è la prima a risentirne, ciononostante “Lucky town” ci regala altre perle come “Human touch”, “Better days”, la stessa “Lucky town” e “If I should fall behind”.
Ancora dischi dal vivo, raccolte dei maggiori successi, ma anche colonne sonore divenute famosissime come “Streets of Philadelphia” (dal film Philadelphia) e nuovi album di inediti davvero niente male come “The ghost of Tom Joad” del 1995.
E se è vero che le storie di vita quotidiana raccontate da Springsteen hanno fatto breccia nel cuore dei suoi fans, il nefasto 11 Settembre ha evidentemente rappresentato, anche per lui, un momento tragico ed indelebile.
Bruce affronta l’argomento cercando di cantarne (ed invocarne) la rinascita.
“The rising” (2002) affronta la cenere, le macerie, la morte: tutto con la vena poetica che contraddistingue il Boss. E questa volta lo fa con una riunita E-Street Band.
The rising è un ritorno alle sonorità più rock del Boss.
Significative l’apertura (“Lonesome day”) e la chiusura del disco (“My city of ruins”), che dipinge quasi da veggente lo scenario statunitense di oggi.
“Devils & dust” è un disco che nasce nel momento più <<politico>> di Springsteen.
Mai celato il suo appoggio al candidato democratico Kerry per le elezioni del 2004; appoggio in parte dichiarato in questo album.
Ritroviamo sonorità folk e country per un lavoro che, comunque, non delude.
Spiccano brani come: “All the way home”, “Maria’s bed”, “Jesus was an only son”.
Atmosfere folk (d’altronde sono nel suo dna) anche in “We shall overcome – The seeger sessions”; album del 2006. Un disco delizioso seppur privo di qualsiasi novità.
Nel 2007 il Boss e la E-Street Band si <<abbracciano>> di nuovo ed esce “Magic”.
Un disco che però denota un calo ispirativo del cantante.
Belle canzoni come “Radio nowhere”, “I’ll work for your love” e “Last to die”, non celano qualche difetto.
Difetti che ritroviamo anche in “Working on a dream” del 2009; un lavoro ispirato dalla famosa frase <<I have a dream>> e dal cambio della guardia alla casa bianca (apprezzatissimo da Springsteen) nel momento in cui Obama diventa Presidente degli Stati Uniti.
Anche l’apporto della storica band non sembra incidere più come prima ed il risultato è <<soltanto>> commercialmente piacevole: nulla più.
Per fortuna che pronto nel cassetto c’è un lavoro che sarebbe dovuto uscire dopo Born to run e che un contenzioso legale con il suo ex manager non ha consentito.
Siamo nel 2010 e “The promise” rompe schemi e indugi.
E’ una serie di brani che rinnova gli entusiasmi e le sonorità dei primi lavori, anche relativamente ai testi.
E penso si possa dire che il successo e l’apprezzamento del pubblico per questo disco, abbiano dato entusiasmo e nuova linfa al Boss che, nel lavoro successivo “Wrecking ball”, realizza uno dei dischi forse più belli del secondo periodo.
Sicuramente più pop/rock, ma di indubbia qualità.
Troviamo il puro orgoglio a stelle e strisce, ma anche atmosfere Irlandesi (“Shackled and drawn” e “Death to my hometown”).
La title track, poi, è una vera e propria ode nostalgica alla sua giovinezza. Niente male!
Insomma cosa altro dire di questo meraviglioso interprete del rock che da più di 40 anni ci insegna cosa il rock sia e che, nonostante ciò, si mette perfino in discussione (vedi “High hopes” del 2014)?
Quale pelo nell’uovo potremmo mai cercare (sperando poi di trovarlo) a questo eccezionale protagonista della musica rock internazionale che, a quasi 45 anni dal suo debutto regala ai suoi fan di tutto il mondo concerti evento di più di 3 ore (senza interruzione alcuna)?
Nel luglio 2016, a Roma, davanti a 60.000 persone, ad inizio concerto, Springsteen annunciava: “Tra 3 ore o giù di lì dovremmo essere stanchi da non farcela più di cantare e di stare in piedi.
Tutti: voi e me”!!!
Signore e Signori… il Boss!!!
Fonte foto: pagina facebook bruce springsteen
Una descrizione accurata, quasi certosina e fedele per un idolo della musica rock. Complimenti