La prima lettura di questa domenica (Sap12, 13. 16-19) ci fa pensare al Signore “con bontà d’animo”, cioè con rettitudine. Dalla Rivelazione delle Scritture e dalla Buona Novella annunziata dal “Verbo fatto carne”, apprendiamo la vita di Dio, velata da imperscrutabile mistero.
Pensare del Signore rettamente non significa proiettare su di Lui le nostre fragilità, né la colpa dei nostri errori. Per affermare la sua sovranità, Dio non ha bisogno di colpire nessuno. Il suo agire non è come quello delle divinità pagane che per affermarsi conducevano cruente battaglie. Il nostro Dio non è un despota capriccioso che esercita la sua potenza per affliggere gli uomini. Egli, invece, ha creato tutte le cose per amore e con amore.
Dal Salmo 85, infatti, impariamo che Dio corregge i suoi figli e reprime l’arroganza dell’uomo non perché si senta minacciato ma perché l’uomo, creato a sua immagine, possa comprendere i suoi tanti errori. La vita divina a cui tutti noi aneliamo risulta essere quindi, una lezione continua di giustizia e tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a vivere questa grande virtù.
Alle parole del libro della Sapienza si lega armoniosamente la pagina evangelica di questa domenica (Mt13, 24-43), nella quale Gesù, ancora una volta, narra alcune parabole. Attraverso l’immagine bucolica del grano che cresce assieme alla zizzania, Gesù ci parla di un Dio che contrariamente agli dei pagani manifesta la sua misericordia ad ogni uomo. Infatti, se la zizzania venisse estirpata con il grano, Dio si manifesterebbe a noi come colui che è pronto a colpire il peccatore, senza concedergli il tempo del pentimento.
Nei confronti dei peccatori, invece, Dio non interviene come vorremmo noi! Sono sotto i nostri occhi i tanti operatori di morte: “Perché Dio non interviene? Perché non li colpisce?”. E ancora, di fronte allo scenario macabro della violenza sui minori, spesso ci chiediamo: “Dio perché se ne sta in silenzio?”.
Carissimi, sono tutti quesiti a cui non potremo mai dare una soluzione e prima di interrogarci, riflettiamo attentamente sul tipo di società che “noi” stiamo costruendo e che ogni giorno, consapevoli o meno, avalliamo anche con tacito assenso. Mi riferisco ad una società dove il piatto dell’onestà è sempre più farcito da ogni tipo di iniquità.
La parabola del grano e della zizzania è accompagnata da altre due immagini tratte da scene di vita semplice: quella del granello di senape e quella del lievito.
Sintetizzando, il Padre vuole che gli uomini buoni siano come il granello di senape e come il lievito nascosto nella farina. Ma non è semplice! Infatti, vestendo i panni dei buoni, nel corso della storia i cristiani hanno tentato di sradicare spesso i cattivi. Come non ricordare, a proposito, l’epoca degli eretici, le guerre sante, l’eccidio delle streghe? Vicende queste, che col senno di poi la Chiesa vorrebbe assolutamente cancellare dalla sua memoria. Ma oramai tutto è accaduto. È rimasto solo il tempo di pentirsi e di chiedere perdono e, grazie a Dio, questo è stato già fatto.
Tuttavia, oggi come allora, se vogliamo essere incorporati nel regno di Dio, ma soprattutto se non vogliamo essere identificati nell’erbaccia seminata dal nemico, dobbiamo accettare i tempi di Dio e imitare la sua pazienza, confidando – come ci esorta la seconda lettura di questa domenica – nello Spirito che “viene in aiuto alla nostra debolezza; che intercede per i santi secondo i disegni di Dio” (Rm8, 26-27). Perché Dio ci chiede di comportarci così? Dio ci chiama alla perfezione e vuole solo il bene di coloro che ha creato a sua immagine e somiglianza. Ecco perché Dio non conosce fretta nel giudicare, non è sbrigativo o detto in altri termini, sommario.
Il libro della Sapienza ci aiuta a comprendere meglio quest’aspetto: “Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento” (Sap12, 16-19).
La ragione più profonda della pazienza di Dio, quindi, ha il suo vero fondamento nell’amore: Egli ci ama profondamente, ci conosce tutti per nome e ci concede fino all’ultimo la possibilità di pentirci e di tornare a lui, attraverso il dono della conversione. Ecco il messaggio principale di questa domenica estiva.
Allora, non ci resta altro che accogliere l’insegnamento del vangelo e stare alla scuola di Gesù, attuando nel nostro piccolo i principi della sua pedagogia che si esprimono nell’amare incondizionatamente ogni uomo. E oggi tutto questo urge perché viviamo in un’epoca troppo arruffata ed angolosa, un momento di smanie divenute insaziabili e quasi febbrili. E a proposito, l’azione evangelizzatrice del cristiano può fare tanto! Essa vive di tre componenti: la saggezza, la semplicità e l’amore. La prima va di pari passo con la verità: Dio ci ha chiamati ad illuminare le coscienze e non a confonderle o a forzarle; nello stesso tempo, ci esorta a parlare con la stessa semplicità che useremmo con i bambini, non a complicare i ragionamenti; la terza componente, invece, che è la carità, ci invita ad accogliere i fratelli e a risanarli, non a terrorizzarli.
Chiediamo a Maria che, come nel giorno di Pentecoste, scenda su di noi l’abbondanza dello Spirito Santo per essere in Cristo un corpo solo; e Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, faccia di noi un sacrificio vivente gradito al Padre. Indossiamo coraggiosamente le vesti di veri operai, felici e contenti perchè impegnati con Cristo alla costruzione di un mondo tutto nuovo. Amen.
di Fra’ Frisina
Nella foto Beata Teresa di Calcutta
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