Uscito in Spagna nel 2013, arriva con un notevole ritardo anche nelle sale italiane – poche, a dire il vero – l’ultimo lavoro del regista Alex de la Iglesia (La comunidad, Crimen perfecto, La ballata dell’amore e dell’odio). Vincitore di otto premi Goya in Spagna e trionfatore al Festival internazionale del cinema fantastico di Bruxelles, Las brujas de Zugarramurdi rappresenta un gradito ritorno del cineasta di Bilbao, dopo la delusione del precedente La chispa de la vida, passato inosservato all’estero e nemmeno distribuito in Italia.
Il protagonista del film è Josè, giovane disoccupato, separato e con un figlio piccolo di dieci anni al seguito, che organizza una rapina a mano armata in un compro oro nella centralissima piazza di Puerta del Sol di Madrid, travestito e truccato da Gesù Cristo, con l’aiuto dell’amico complice Antonio.
Al termine della rapina, che frutta una borsa piena zeppa di anelli d’oro, i tre fuggono su un taxi, insieme all’autista sequestrato e ad un passeggero-ostaggio, in direzione nord, verso la Francia, e finiscono per raggiungere il villaggio di Zugarramurdi, nella regione basca della Navarra, storicamente noto per essere stato, nel ‘600, teatro di una famosa caccia alle streghe da parte dell’Inquisizione spagnola ai danni di centinaia di donne accusate di stregoneria.
Le streghe di questo piccolo villaggio sono interessate al figlio di Josè, Sergio, bambino prescelto per un rituale che sposterebbe gli equilibri a favore di una apocalittica supremazia delle streghe su tutto il pianeta. A complicare le cose, una giovane e bella strega si innamora di Josè, che si ritrova ad essere pure inseguito da due poliziotti e dalla ex moglie.
Alex de la Iglesia, nel suo calderone stregonesco, mescola continuamente gli ingredienti e i sapori in tavola: potremmo definirla una commedia horror d’azione, nella quale il regista pare muoversi coraggiosamente tra i diversi cambi di genere e di tono, rimanendo sempre in un perfetto equilibrio.
Lanciato alla ribalta da Almodòvar, ma più vicino al cinema del suo amico messicano Guillermo del Toro, de la Iglesia si cimenta in quello che gli riesce meglio: il film sperimentale, grottesco, iconoclasta, anarchico e feroce, infarcito di dialoghi al vetriolo, ispirato ai b-movies e ai classici dell’horror di genere. Tra gli omaggi e le citazioni più o meno smaccate, appaiono palesemente evidenti quelli a Bad Taste di Peter Jackson, La casa di Sam Raimi, Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez, la trilogia delle “Madri” di Dario Argento (in particolare Suspiria) e Non aprite quella porta di Tobe Hooper, solo per citarne alcuni.
Le streghe son tornate è un film “matriarcale”, in cui il tema della donna e del femminismo viene portato all’estremo: tutte le donne sono streghe perché trovano la loro vendetta sui maschi prevaricatori. In questo modo si vuole sottolineare la crisi del rapporto di coppia tra uomo e donna: il tempo del dialogo è finito perché ormai è impossibile capirsi veramente; i due universi (il maschile e il femminile) sono troppo distanti, pertanto i ruoli saranno ora ribaltati e la donna-strega, ottenuto il potere, diventa aggressiva e punisce, divorandoli, gli uomini inetti e babbei. Viene puntualizzato che Dio è donna e una divertita Carmen Maura interpreta la Madre Terra che avrà il compito di generare l’Essere Supremo Femminile.
Tra queste streghe crudeli ma spassosissime (una menzione particolare a quella tracheotomizzata e al duo di streghe travestite, simpatico omaggio almodovariano), spicca in particolare il personaggio di Eva (Carolina Bang, moglie del regista), l’affascinante strega dark che ricorda nei modi e nel look – non a caso- la Lisbeth Salander della trilogia Millennium di Stieg Larsson. Eva infrange il patto di “guerra al maschio” innamorandosi di Josè, va contro le regole della comunità e sfida le altre consorelle, a dimostrazione che ancora c’è qualche donna che si fida degli uomini.
La crisi dei rapporti umani è anche strettamente legata alla crisi economica (la rapina ad un compro oro, simbolo di questi tempi, come inizio della fine per i protagonisti) e il regista sembra volerlo sottolineare per tutto il film, facendolo rimanere ancorato ad una solida realtà sociale, rara per la tipologia del genere.
Unico appunto, la scelta del titolo italiano Le streghe son tornate – dal famoso motto femminista degli anni ’70-, se è vero che ne sottolinea la natura anarcoide e ribelle, non convince del tutto, soprattutto perché ci tiene nascosto il protagonista assoluto, il villaggio Zugarramurdi appunto, la Salem dei Paesi Baschi, luogo magico magistralmente ricreato dalla fotografia di Kiko de la Rica, sia negli esterni immersi nella natura misteriosa e primitiva del paese, sia negli interni lugubri della residenza delle streghe e soprattutto nell’ultima parte del film, girata nella straordinaria cava, la “grotta delle Streghe”, in cui fino al ‘600 si tenevano i cosiddetti akelarre, riti pagani al chiaro di luna. La potenza evocativa della grotta è perfetta per il finale apocalittico di questa pellicola, grottesca commedia dark sopra le righe di difficile catalogazione, ma piccante e saporita come una piperrada basca.
di Fabio Rossi
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