La legge di stabilità ed il Jobs Act, due rimedi contro la povertà e la mancanza di lavoro che sortiranno effetti peggiori del male stesso.
Nel primo caso, la versione finale della legge, su cui il Senato ha espresso il voto di fiducia nei giorni scorsi, non fa altro che favorire le fusioni tra aziende di servizi pubblici locali eliminando quelle considerate inutili, senza che vi siano criteri oggettivi per individuare le società da sopprimere, non prevedendo altresì alcuna penalità per i dirigenti inadempienti e per finire senza introdurre un “premio” per gli enti che fondono o aggregano le proprie partecipate.
L’esclusione dal patto di stabilità interno degli incassi derivanti dalla “dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di partecipazioni in società”, consentirà poi agli enti locali che cedono quote detenute in aziende di servizi pubblici, di utilizzarle liberamente per investimenti.
Entro il 1 gennaio, enti locali, Camere di commercio, università, istituti di istruzione universitaria pubblici e autorità portuali dovranno conseguire la riduzione delle società e delle partecipazioni societarie possedute entro il 31 dicembre, mentre scadrà il 31 marzo 2015 il termine entro cui governatori, presidenti delle province, sindaci e organi di vertice delle amministrazioni (cui fanno capo società partecipate) devono approvare un piano operativo con i dettagli su modalità e tempi di attuazione dello “sfoltimento” e risparmi previsti.
Analizzando i fatti , ci si chiede come si possa pensare di risanare il bilancio pubblico, senza che vi siano i presupposti strutturali che dovrebbero favorire lo sviluppo dell’economia ed il benessere sociale?
E’ come voler tamponare una emorragia con un fazzoletto.
Come si pensa di creare lavoro e sostenere le imprese attraverso la flessibilità e con tali presupposti previsti dalla legge sulla stabilità?
Anche questa domanda non sembra avere risposte concrete.
I 17 miliardi di contenimento della spesa pubblica non potranno che modificare le abitudini della gente, visto che intaccheranno i settori più nevralgici, quali sanità e trasporto pubblico locale. Eppure, per edulcorare la pillola, il Governo non fra che propagandare il fatto che si pagheranno meno tasse.
A dire il vero, si tratta di una notizia parziale e imprecisa. La riduzione delle tasse infatti non deve essere scambiata con la distribuzione del carico fiscale, ergo la scure del contenimento continuerà ad abbattersi sulle classi sociali meno agiate.
A cosa serve dunque tagliare la spesa pubblica? A conti fatti non serve a nulla, dunque una legge di Stabilità che non passi dall’assistenzialismo al lavoro, è di fatto una legge inutile.
La crescita dello 0,2% del Pil legata alla riforma del mercato del lavoro e alla riduzione delle tasse per le imprese, ci fa capire ulteriormente che si tratta di una manovra classista e unilaterale, che non guarda il basso.
Basti pensare che il mancato rinnovo del contratto nazionale e il blocco del tour over hanno già contribuito a risanare il deficit pubblico per circa 17 miliardi di euro.
Tornando al tema lavoro, altra “geniale” invenzione è l’anticipazione del Tfr in busta paga. Per i lavoratori privati che la richiederanno, la tassazione sarà quella ordinaria senza, la più favorevole tassazione separata prevista sulle liquidazioni erogate a fine carriera.
Per non parlare poi del taglio di 2 miliardi sull’Irap per i lavoratori neo-assunti a tempo indeterminato a indennizzo crescente.
Si tratta di una misura che consolida la precarizzazione del lavoro, dato che i soldi pubblici pagheranno l’indennizzo del contratto a “tutele crescenti”.
Questi i fatti e queste le discussioni. Una cosa va detta: se i tagli non porteranno risultati tangibili, scatterà un aumento di tasse (IVA e accise), senza dimenticare il blocco temporaneo di Tasi e IMU.
di Simona Mazza
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