Fino a qualche tempo fa, due erano gli argomenti che sembravano rendere meno atroce la clausura forzata della Fase 1 “anti-covid”. La prima era una ritrovata armonia tra le persone, la voglia di cantare insieme, di abbracciarsi virtualmente, di volersi bene, e la seconda era la rifioritura delle città liberate dallo smog delle automobili.
Entrambi gli argomenti si sono rivelati dei falsi miti.
Della ritrovata armonia tra le persone è quasi superfluo parlare, perché la realtà sta davanti agli occhi di tutti. “Alle guerre guerreggiate dagli eserciti son seguite le guerre dei ribelli e dei disperati contro tutto e contro tutti, contro se stessi e contro il destino; le guerre civili fra figli d’una stessa patria; le guerre delle fazioni, delle parole, delle accuse, delle minacce”; sono le parole che Giovanni Papini fa pronunciare al suo papa immaginario, Celestino VI. Profetiche. O, forse, solo lucide nell’analizzare l’essere umano, quello italiano in particolare. Si sa, fazioni e campanilismi ce li abbiamo nel sangue. Infatti, dopo le manifestazioni di solidarietà e affetto reciproco dei primi giorni di clausura, le persone sono tornate a odiarsi, ad aggredirsi a vicenda, a guardarsi in cagnesco persino più di prima: si strilla contro chi non indossa la mascherina all’aperto, si denuncia il vicino di casa che cammina accanto alla moglie – e non importa se la notte dormono nello stesso letto -, si punta il dito contro varie categorie di “untori” e contro chi contesta le scelte governative, cosa che ha condotto persino ad un’eccentrica raccolta di firme di accademici ed intellettuali.
L’aggressività e l’assopimento del diritto di critica trapelano, ovviamente, anche sui social, che rappresentano uno spaccato della società. Chi si rifiuta di indossare la mascherina quando sta all’aperto e lontano dagli altri, chi vuole un ritorno alla vita, seppur lento e responsabile, o chi contesta le iniziative governative, a partire dai decreti a puntate scritti in finneganese stretto fino all’app Immuni, è un incosciente, un irresponsabile, uno stupido, anche se l’offesa più gettonata è “pazzo”, cosa che mi fa tornare alla mente i manicomi di Stalin: il pensiero non allineato è sempre frutto di follia. Ma c’è follia e follia. Quella di Erasmo, ad esempio, “guida a saggezza” e quella del Matto del Re Lear esprime un pensiero presago e lucidissimo. Sarebbe utile tenerlo a mente.
Sull’aria libera dallo smog, invece, qualcosa in più da dire c’è, poiché, almeno in base a studi effettuati su Roma, è un’errata convinzione fondata su notizie “emozionali” sparse dai media. Forse, dopo averle “rubato l’infanzia” si vuole dare a Greta Thunberg un’occasione di ristoro, sostituendo le automobili con i monopattini. Ma il buonismo ecologico è spesso nemico della scienza.
Il cosiddetto “lockdown”, attivato in modo molto stringente a partire dal 12 marzo, ha determinato una drastica riduzione della circolazione veicolare, ma non una diminuzione della concentrazione di inquinanti atmosferici. Non è certo una sorpresa per gli esperti del settore. Anche i molti reiterati blocchi del traffico imposti a Roma negli ultimi anni non avevano prodotto alcun risultato significativo, sebbene in pochi l’abbiano detto con una voce sufficiente a superare il tono rimbombante di chi affermava il contrario.
Sotto questo profilo, la prima fase del “lockdown” ha rappresentato la “prova del nove”. Non si era mai avuto un blocco della circolazione veicolare di così lunga durata. I risultati, quindi, sono assolutamente attendibili. E quali sono questi risultati? Da un’analisi attenta dei dati reali si evince la marginalità delle emissioni delle autovetture nel quadro generale dell’inquinamento atmosferico.
I dati sulla concentrazione di agenti inquinanti nell’atmosfera vengono rilevati quotidianamente, e immediatamente resi pubblici, dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA), attraverso numerose centraline posizionate nel territorio comunale. Per quanto riguarda la città di Roma, i dati vengono rilevati dall’ARPA Lazio. Le Agenzie Regionali vengono coordinate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che tra l’altro redige periodicamente un importante documento di sintesi, in cui elabora i dati raccolti, stilando anche la percentuale di variazione nel caso in cui venga effettuato un raffronto con i dati degli anni precedenti. Tale documento è il “Rapporto qualità dell’ambiente urbano”. L’ultimo rapporto pubblicato è il XIV – edizione 2018, che, per quanto attiene alla suddivisione delle emissioni per settore (industria, riscaldamento, trasporto su strada, agricoltura, ecc.) contiene i dati aggiornati fino al 2015.
Sempre con riferimento al Comune di Roma, è utile il grafico che riporta i dati rilevati al mese di marzo 2020 per l’inquinante ritenuto più dannoso, il particolato (PM10 e PM2.5), e per il biossido d’azoto (NO2) [Foto 1].
Non bisogna essere scienziati per leggere questo grafico. È evidente come il “lockdown”, iniziato il 12 marzo, non abbia determinato riduzioni nella concentrazione degli agenti inquinanti nell’atmosfera.
Viceversa, è interessante notare come esista una corrispondenza precisa tra la concentrazione di inquinanti e la temperatura media giornaliera (dati tratti da www.ilmeteo.it), grandezza legata alle condizioni metereologiche, come si evince da questo secondo grafico [Foto2].
D’altronde, già nei rapporti ISPRA viene evidenziata la scarsa incidenza delle emissioni legate al traffico veicolare sulla concentrazione di inquinanti atmosferici, in particolare di PM10, nelle aree urbane. Infatti, dalla Tabella 5.2.1 dell’ultimo “Rapporto qualità dell’ambiente urbano”, si evidenzia come nella città di Roma le emissioni di PM10, tra il 2005 e il 2015, hanno subìto un incremento per quanto riguarda gli impianti termici ed una sensibile riduzione per quanto riguarda il traffico su strada; riduzione dovuta all’evoluzione della tecnologia automobilistica e al rinnovo del parco circolante. Infatti, per quanto attiene agli impianti termici, la percentuale di emissioni è pari al46,3%nel2005, mentre nel2015sale al71,4%; per quanto attiene al traffico su strada, invece, la percentuale di emissioni è del 44,7% nel 2005, mentre nel 2015 scende al 23,5%. Orbene, considerato l’andamento del decennio 2005-2015 e considerata l’analisi dei dati del 2020, di cui alle foto 1 e 2, le percentuali odierne sono, nella peggiore delle ipotesi, stazionarie e, quindi, tendenzialmente sovrapponibili a quelle del 2015, quando non in ulteriore calo.
Pertanto, appare singolare e difficilmente accettabile l’atteggiamento del Comune di Roma, che, nel proprio sito, al punto 1) della sezione “FAQ Smog e blocchi del traffico”, pubblica quanto segue:
“Nel territorio di Roma Capitale le principali fonti di emissione di inquinanti atmosferici, in particolare di materiale particolato (PM10) e di ossidi di azoto (NOx) sono rappresentate dal traffico veicolare e dagli impianti termici. Il contributo emissivo delle sorgenti suindicate è ripartito all’incirca nel seguente modo: – PM10 circa 63 % traffico veicolare, 33 % impianti termici, 4% da industria ed agricoltura”.
In base a quanto affermato in questo documento ufficiale del Comune di Roma, dunque, le emissioni PM10 sarebbero generate per il 63% dal traffico veicolare e per il 33% dagli impianti termici.
I dati non corrispondono a realtà.
Abbiamo visto che le percentuali fornite dall’ARPA e dall’ISPRA, che sono le uniche fonti ufficiali in materia, dalle quali il Comune stesso prende i propri dati, sono ben diverse: il traffico veicolare incide sulle emissioni nella percentuale del 23,5%, mentre gli impianti termici nella percentuale del 71,4%. Dati pressoché opposti a quelli forniti dal Comune. A questo punto, ci si chiede il perché di un’informazione non corretta e tanto fuorviante. Probabilmente perché il Comune di Roma ha come obiettivo quello di perseverare nella politica dei blocchi del traffico. Tuttavia, considerato che, in base ai dati ufficiali dell’ARPA e dell’ISPRA, non è possibile parlare di un fine puramente ecologico di tale obiettivo, sarebbe interessante per la cittadinanza essere informata su quale sia il vero fine del Comune, invece di subire fake news proprio da chi dovrebbe combatterle.
Tutti si vogliono più bene, dopo il “lockdown”? No. L’aria è più pulita dopo il “lockdown”? Forse. Ma non lo dobbiamo certo al blocco delle auto.
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