Quasi tutti promossi e con voti più alti rispetto agli anni passati: sono i risultati degli esami di maturità nell’anno della grande epidemia.
La ripresa dell’anno scolastico, tra problemi di distanziamento sociale e carenze, ormai croniche, di attrezzature e di organico, divide la politica e alla fine sarà messa tutta nelle mani dei singoli Istituti in questa sorta di piramide rovesciata in cui si è trasformata la Pubblica Amministrazione dove i meriti li prendono i vertici e le responsabilità la base.
L’impressione, nell’uno e nell’altro caso, è che la scuola ed i suoi riti laici (le lezioni, le interrogazioni, gli esami) siano ormai visti come un problema di cui sbarazzarsi, possibilmente con le minori scocciature possibili. Sembra che in poco più di sessantanni si sia passati dalla liberazione dall’ignoranza alla liberazione dalla scuola: non è un bel segnale.
L’idea stessa che la formazione personale sia un sacrificio e non un’opportunità dovrebbe preoccupare invece è unanimente accettata, come ormai unanimente accettati sono la mancanza di selezione e l’abbassamento della difficoltà delle prove: presentati come benefici per gli studenti, sono in realtà alibi per gli adulti perché valutare è, se possibile, ancor più difficile che insegnare.
La stessa formazione a distanza, apparsa come la soluzione per tutta la fase acuta dell’epidemia, rappresenta una colossale abdicazione della scuola alla formazione comportamentale di alunni e studenti.
E così mentre la scuola riduce i suoi spazi ed il suo ruolo, rinunciando alla sua centralità nell’età evolutiva, la formazione giovanile è rimessa sempre più alle famiglie, alla televisione e, in modo ancora più esteso, al web con le sue mille sfaccettature, deep web compreso.
La selezione la faranno la vita ed il mercato.
Siamo nell’età della descolarizzazione e possiamo rammaricarci solo con noi stessi: invece di contrastare la dissoluzione della responsabilità collettiva della formazione giovanile l’abbiamo assecondata.
Eppure centinaia di giovani eccellono negli studi, s’impegnano nel sociale, praticano le arti e la gentilezza, sognano un pianeta migliore, accompagnati da quella parte del corpo insegnante e di genitori che ancora non si arrende e nuota in direzione ostinata e contraria.
C’è da ammirarli: noi, a conti fatti, senza tecnologia, abbiamo avuto a disposizione più strumenti e più attenzione di loro.
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