Lettera a mia madre

mamma1Il 20 gennaio di cinquantacinque anni fa, a Washington, John Kennedy prestava giuramento come 35esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Nel suo discorso inaugurale pronunciò la famosa frase: “E dunque, miei cari Americani: non chiedete cosa può fare il paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il paese”.

Il 20 ottobre dello stesso anno nascevi tu, Mamma, ed oggi avresti compiuto cinquantacinque anni. Ho pensato, così come pensò Kennedy, a cosa avrei potuto far io per te in questa giornata. Il mio piccolo regalo di compleanno, che in qualche modo sono certo riuscirai a percepire ovunque sei, è questa lettera che ti dedico.

Quando si perde l’affetto, forse, più importante della propria vita, non si ha subito la consapevolezza che la propria esistenza cambi radicalmente, ma si assume un inconscio stato di “non animo”, come se si cominciasse a guardare da una finestra sporca.

La mancanza di lucidità, la delusione e la disperazione sono tutti sentimenti che emergono, divenendo terreno di non accettazione a qualsiasi stimolo esterno. Tutto da ricostruire, come in un terremoto. Ci sembra che non ci sia più nulla per il quale valga la pena ricominciare. Ma non è stato così per me, almeno in parte.

Il rapporto madre-figlio, penso, che sia l’unico rapporto animale ed umano, e la storia – l’antropologia – la sociologia – la psicologia ce lo hanno confermano, che sia indissolubile, nella sua accezione semantica, senza nessuna paura di abbandono, cambiamento, ma solo della certezza di sentirci protetti a casa. Una lettura, quella madre-figlio, direttamente rivolta ai bisogni e desideri dei propri figli, captati in qualsiasi spazio temporale, un sentire silenziosamente costante e produttivo.

Questa certezza e sicurezza di un approdo costante e rincuorante, diventa di difficile applicazione oggi, cara mamma, in una società divenuta, forse, troppo cattiva. Oggi la finzione della vita ha reso ciascuno di noi, più triste e perennemente insoddisfatto. Il potere di essere presente, di vincere a prescindere, quasi da delirio di onnipotenza, hanno depotenziato qualsiasi sano confronto generazionale, culturale e formativo. Ricordo sempre, fra i tuoi insegnamenti, quello di essere sempre umili verso l’altro. Parole queste, che negli studi di sociologia, ho ritrovato con il pensiero di Mead, quando parlava dell’Altro Generalizzato, ovvero la necessità del rispetto umano per essere uomini della “civitas”.

La crescita esponenziale dei flussi migratori, causati da conflitti continuamente messi in sordina dalle casse di risonanza. Eccome se si stesse prospettando una vita fatta di continue crescite di eccessi e contraddizioni costanti fra le persone. Un abituarsi all’idea che la diversità, in termini discriminanti ed ingiusti, sia legittimamente accettata, condivisa ed applicata. Sempre più poveri, anche dentro casa nostra. Una società “socialmente” squilibrata nei processi comunitari ed evolutivi.

Se ogni madre cresce il proprio figlio donandogli il meglio, proteggendolo e tutelando il suo modus operandi, come mai questo sembra non applicarsi nelle azioni di ordine politico, sociale e culturale? Le maschere “pirandelliane” sono divenute costume di un’affermazione sociale, dove il popolo completamente anestetizzato dalla tecnologia, è diventato quasi insensibile al piacere, al bene, all’amore. Smartphone che impediscono semplici abbracci, e social-network che annullano le nostre parole hanno reso un po’ tutti delle macchine pronte a scoppiare, programmate al mero scopo di sopraffare tutto e tutti. Penso che non siano gli strumenti da demonizzare mamma, ma le scelte compiute dettate dall’incapacità umana di amare. Di amare la terra, senza riversare rifiuti tossici che fanno ammalare tantissime persone; di rispettare le religioni, senza combattere guerre in nome di un Dio diverso; di rispettare le diversità sessuali, senza demonizzare l’amore che un uomo possa provare per l’altro; di educare i giovani, senza toglierli il futuro di crescita; di fare politica per il bene della comunità e non del proprio interesse; di compiere missioni di pace senza schierare soldati per combattere una guerra; di amare la vita senza ricorrere a droghe; di essere consapevoli che il rispetto che cerchiamo parte prima da noi.

Queste parole vorrei che fossero condivise da chi pensa e crede che occorre andare avanti sempre, soprattutto per chi ha smesso di credere alla vita, magari a chi è nei letti d’ospedale, in galera, in strada, a chi è stato meno fortunato di me. Io sono un granello di sabbia come tanti altri a cui la vita ha tolto il proprio mare, ma credo che riuscire a sentire ancora quell’onda di vita carica di opportunità, sia la fortuna più grande che un uomo possa ricevere in dono. E ovunque sei, con qualsiasi dio, ed in qualsiasi forma, io continuo a sentire quell’amore che mi hai donato, infinitamente puro e costruttivo da continuare a rendermi figlio tuo.

Auguroni mamma, e ricordati che per me rimani sempre la più bella.

di Giovanni Sacchitelli

2 Risposte

  1. ADIANO

    COMMOSSO , NON CONOSCEVO TUA MADRE MA CONOSCO VOI ED E’ UN GRANDE REGALO . DONATE TANTO ALLE PERSONE CHE VI SONO VICINE GRAZIE …..ADRIANO AUGURI MAMMA.

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    • Sara

      La tua lettera ha parlato della tua mamma come della mia, le tue parole hanno condiviso anche il mio di pensiero, i stessi insegnamenti della tua mamma li ho avuti anch’io dalla mia, e come te anche la mia ha lasciato un grande vuoto ma una voglia di vivere e una forza immane, voglia di fare e riuscire in tutto ciò che lei per il poco tempo non ha potuto, sono felice di leggere tutto ciò mi riempie il cuore di gioia perché so che ognuno di noi che ha perso un pezzo di cuore possa avere il coraggio di andare avanti rendendo orgogliosi loro ma noi stessi per tutto ciò che siamo in grado di tirar fuori da un momento buio, ho avuto la fortuna di salutare la tua mamma sussurrandole di portare un abbraccio alla mia e so che le sono arrivati i miei saluti…..che dire ti abbraccio Giovanni e spero tu sia sempre forte e come me ti costruisca una vita piena di amore saluti Sara

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