I recenti matrimoni reali, due mesi fa a Londra e sabato scorso a Montecarlo, evidenziano sempre più le differenze di stili di vita tra classi abbienti e cittadini comuni. La fastosità degli eventi sovrani cozza duramente con le difficoltà delle giovani coppie che spesso non riescono a convivere, a sposarsi o a formare una famiglia. A volte per mancanza di lavoro o di una casa, spesso per problemi economici. Palese anche la disparità con i nuclei familiari esistenti, che con stipendi ordinari faticano ad arrivare a fine mese. Tuttavia, da sempre le popolazioni si sono suddivise per ceti sociali: patrizi e plebei, reali e miserabili, ricchi e poveri, capitalisti e nullatenenti. Lontani nello stile di vita, nel vivere quotidiano, nelle frequentazioni sociali ma, grazie a Dio, unite da un elemento comune: la morte. Così è se vi pare, ma anche se no. Perchè si può essere potenti ed estremamente ricchi, poveri o disonesti ma se colpiti da una grave malattia o da un incidente fortuito, se il momento è giunto non c’è povertà o conto corrente che tenga. Ma se non fosse per questo aspetto umano, che nel momento del trapasso unisce tutti e fa sembrare addirittura indulgenti le persone facoltose, queste ultime nel trascorrere della vita, con approcci indegni verso gli emarginati, spesso, pur traboccanti di immobili e disponibilità economiche, si dimostrano avare e povere di sentimento. Travolte dall’attaccamento ai beni materiali e da azioni protratte all’acquisizione di nuove conquiste visibili, i ricchi, in molti casi non si rendono nemmeno conto della quantità di povera gente che “alberga” per le strade, sotto i ponti, nelle stazioni ferroviarie e che, per campare, deve far uso di mense di associazioni caritatevoli o della carità di gente comune di buona volontà. Perciò, tralasciando i cittadini comuni che anche se a stenti e non uniti in matrimonio vanno avanti comunque, penso ai più bisognosi che a volte non riescono neppure a mangiare. Oggi, in Italia, le famiglie che vivono in condizioni di povertà sono quasi il 12% (dati Istat), famiglie che, con salari statici al 2000, non riescono nella soddisfazione dei propri bisogni quotidiani (spesa alimentare, spese scolastiche, bollette, assicurazioni, imposte varie, ecc.). Per non parlare dei poveri emarginati, vagabondi che quotidianamente sono costretti a mendicare o a frugare nei secchioni dell’immondizia alla “ricerca della felicità”. Nell’era di internet non possiamo e non dobbiamo più permetterci, anche per il solo senso civico, una società che abbia differenze così sostanziali. Facendo però attenzione a non scambiare l’emarginato col nullafacente e il mendicante con lo sfaticato. Purtroppo queste categorie di fannulloni se sono ridotte in povertà lo devono solo a cause di pigrizia e scarsa volontà di migliorare il loro stato sociale e quindi, se non di persuasione all’attività lavorativa, non meritevoli di aiuti materiali. Dobbiamo però impegnarci, nel nostro piccolo, ad aiutare i più bisognosi con atti caritatevoli, preoccupandoci di non far perdere loro la dignità di persona che, anche il più emarginato degli uomini, ha il diritto di tenere alta. Oltre alla morte, facciamo diventare elemento comune anche la carità. In questo modo daremo un senso anche alla nostra “misera” esistenza.
Enzo Di Stasio
Foto: fanpage.it
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