“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Con queste parole colme di speranza si chiude il Vangelo di questa Domenica che ci fa contemplare l’Ascensione al cielo del Signore Gesù, mistero della fede che il libro degli Atti degli Apostoli colloca quaranta giorni dopo la risurrezione (cfr At 1,3-11). Nei testi liturgici delle scorse domeniche, Gesù ha molto parlato del suo ritorno al Padre e lo ha fatto con parole riconducibili ad un esodo, ad un passaggio fondamentale perchè fosse portata a compimento la missione affidataGli dal Padre, quella, cioè, di farsi carne e condurre l’uomo a Dio, non su un piano teorico o filosofico ma concretamente, realmente, come quel “Buon Pastore” che pian piano fa entrare nell’ovile le sue pecorelle. “L’esodo” verso il Cielo, come pure gli altri misteri della vita di Gesù, doveva compiersi a favore nostro: per noi, infatti, è disceso dal Cielo, per noi vi è asceso. L’Ascensione di Gesù si realizza al termine della sua esperienza terrena che, al pari di un comune mortale, lo ha visto gemere su un cumulo di paglia a Bethlemme, lavorare presso una falegnameria a Nazaret, parlare di Dio per le strade della Palestina ed, infine, versare il suo sangue perché l’uomo potesse riavere l’amicizia con Dio, perduta a causa del peccato di Adamo. “Per questo Dio l’ha sovra-esaltato, dandoGli il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9) compiacendosi in Lui e riconsegnandoGli la pienezza della gloria, adesso, però, rivestita con gli abiti purificati della nostra stessa umanità. L’Ascensione al cielo del Signore Gesù, mistero luminosissimo di amore, rivela una grande verità, non teorica ma reale: Dio presente nell’uomo – l’uomo presente in Dio; la luce di questo mistero, inoltre, illumina la speranza cristiana che oggi guarda a Cristo come ad “un’àncora della nostra vita” (Eb 6,19), un punto di riferimento chiaro e fisso che orienta il cammino e la ricerca degli uomini di buona volontà. Oggi più che mai, la nostra epoca ha bisogno di un saldo ancoraggio, necessita di una lunga sosta ristoratrice, indispensabile per rinfrancarsi; “l’homo technologicus”, colui che ha consacrato la propria vita per amore alla scienza e alle sorti dell’umanità è invitato a fermarsi per guardare il tragitto percorso. È un’esigenza che s’impone, soprattutto oggi, per poter camminare più speditamente sui sentieri di Dio. Diamo senso alla nostra esistenza terrena! Vivremo con maggiore gioia ed entusiasmo la speranza che Gesù stesso oggi consegna a ciascuno di noi. “Dare senso alla nostra vita”. Dinanzi a questa chiara “coordinata teologale” il cristiano è esortato a combattere con forza l’attuale materialismo dilagante e il consumismo programmato; ciascuno di noi è chiamato a guardare la sofferenza con gli occhi della fede e, quindi, a santificare i dolori, legati inevitabilmente a questa valle di lacrime, certi che il Signore saprà infondere la forza necessaria per stare a fianco al fratello in difficoltà. Dopo l’Ascensione del Signore il credente prende sempre più coscienza di possedere un alto valore teologale: la libertà dei figli di Dio, dono gratuito ed inestimabile che, purtroppo, l’orizzonte temporale e laicista, tenta sempre di soffocare. “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?” (At 1,11). Il Battezzato, infine, guidato dal monito di Gesù, impara a considerare la precarietà del suo soggiorno terreno come una “continua vigilia”, attendendo con le mani alzate, il ritorno glorioso del Signore Gesù alla fine dei tempi. L’antica simbologia delle mani alzate, presente sin dall’Antico Testamento come sinonimo di preghiera, rivela inconsapevolmente il desiderio profondo di ascensione che l’uomo, insieme alla nostalgia di Dio, custodisce segretamente nel cuore. Infatti, anche l’uomo, come Gesù, desidera con tutto se stesso elevarsi fino a Dio. I Padri della Chiesa ci insegnano che la vera elevazione delle creature a Dio si attua nel momento in cui, l’uomo, come il Buon Samaritano, si abbassa totalmente fino a terra, per condividere con i suoi simili la triste vicenda della sofferenza. Proprio quest’umiltà che sa abbassarsi porta l’uomo verso l’alto: ecco l’Ascensione dell’uomo che trova in quella di Gesù un modello ed un esempio. Nel giorno dell’Ascensione Gesù presenta al Padre la condizione precaria dell’umanità, che a prezzo del suo sangue ha redento, ha nobilitato ed ha impreziosito. Un motivo di gioia questo, per tutta la Chiesa che oggi si veste a festa; stesso motivo di gioia condiviso dai discepoli, certi che non sarebbero rimasti più soli. Noi non siamo più soli e lo gridiamo oggi con immensa gioia! L’incontro frequente con Gesù, una profonda familiarità con Lui alimenterà questa gioia che ci invita settimanalmente a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue. Fare Eucarestia significa sì, rendimento di grazie, ma anche certezza che quell’apparente congedo di Gesù, in verità, ha rappresentato l’inizio di una nuova vicinanza. Guardiamo la Madre che certamente era unita agli Undici Apostoli nel momento dell’Ascensione. Guardando Lei siamo subito invitati a volgere lo sguardo su Gesù: la Madre ci indica il Figlio salito in cielo per prepararci un posto. Egli ci invita sempre a fissare gli occhi non in cielo ma sulla terra, nido d’amore che ancora una volta oggi vuole affidare alla nostra custodia. Ed è in questo nido d’amore che vogliamo attendere, uniti nella preghiera, il dono dello Spirito Santo. A Lei, tra i credenti “la prima” ad essere Assunta in cielo, rivolgiamoci con amore mentre gioiosamente assistiamo al compimento dei giorni della Pasqua.
Frà Frisina
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