Il Libro XVI dell’Odissea si apre con l’arrivo di Telemaco alla capanna del mandriano di porci Eumeo. È l’alba, i cani lo accolgono scodinzolando e Ulisse è lì, a tavola con il mandriano, che davanti alla reazione dei cani afferma: «Eumeo, viene certo un amico a trovarti/o un conoscente». La reazione del mandriano alla vista di Telemaco è commovente: «Subito corse incontro al signore, baciò/ la sua testa e le belle luci degli occhi/e le mani, mentre il viso bagnavano le lacrime».
L’accoglienza di Eumeo
Il viaggio di Telemaco non è stato insidioso come quello di Ulisse. Tuttavia anche lui ha rischiato la vita addentrandosi nella grande incognita rappresentata dal mare e sfuggendo alla trappola che i Proci avevano ordito contro di lui. Quindi è lecito che venga ricevuto come un sopravvissuto. Scrive Omero: «Come un padre amoroso accoglie suo figlio/che dopo dieci anni ritorna da terre lontane,/l’unico figlio, nato pur tardi, per cui molto/aveva sofferto; similmente il fido mandriano/a sé stringeva, abbracciava Telemaco,/quasi fosse sfuggito alla morte».
Anche se le notizie sul padre che il giovane ha riportato sono scarse, partire gli è servito per crescere. Adesso può aiutare davvero Ulisse a riprendere il suo posto. Forse è anche in virtù di questa maturazione che nel Libro XVI la parola “saggio” ricorre con tanta insistenza accanto al nome di Telemaco. Il figlio di Ulisse è saggio come Eumeo è fedele. Telemaco sa che il porcaro è l’uomo giusto a cui rivolgersi per sapere la verità. Gli dice: «per te sono qui: per vederti con gli occhi/ e per sapere se in casa è mia madre e m’aspetta/o se già l’ha sposata qualcuno». Telemaco vuole vedere Eumeo perché non vuole che il messaggio passi attraverso interlocutori. Solo parole uscite direttamente dalla sua bocca sono meritevoli della sua fiducia.
L’accoglienza
Accoglienza, verità e fiducia sono temi portanti dell’Odissea. In questo episodio — che tra l’altro segna il convergere dei due filoni narrativi del poema (Telemachia e viaggi di Ulisse) — gli argomenti si intrecciano a doppio filo. L’accoglienza è un valore irrinunciabile, un vero e proprio dovere morale per gli uomini virtuosi che costellano l’Odissea. Si pensi all’ospitalità riservata a Ulisse da parte di Alcinoo o a quella riservata a Telemaco da Nestore. L’ospite, seppur straniero e sconosciuto, è visto come un dono inviato dagli dei. Accoglierlo e fargli dei doni al momento della ripartenza è un onore più per chi ospita che per chi viene ospitato. Ma è anche una responsabilità perché insieme all’accoglienza bisogna fornire protezione.
Per questo quando riferendosi a Ulisse Eumeo dice a Telemaco: «accoglilo, fa’ con lui come vuoi; si onora di essere tuo supplice», il giovane si rattrista. Con umiltà e senso di responsabilità risponde: «Accogliere l’ospite/come potrò in casa mia? e proteggerlo?/Giovane sono, e non giova il mio braccio/a respingere un uomo che primo mi assalga». Telemaco sa perfettamente che in casa sua l’ospite verrebbe offeso dai Proci. Preferisce risarcirlo con doni che possano permettergli di andare ovunque voglia, dimostrando un grande senso di civiltà. Al contrario i Proci sono inospitali e per questo — come già il ciclope cannibale Polifemo — sono simbolo di inciviltà e caos.
Verità e fiducia
L’accoglienza dunque è civiltà e solo nella civiltà può brillare la luce della verità. Nell’antro del ciclope Ulisse si era dichiarato “Nessuno”, negando la sua stessa identità. Al contrario, alla tavola di Alcinoo aveva raccontato la sua storia. E ora, nel Libro XVI, si appresta a rivelarsi anche a Telemaco. Atena gli restituisce momentaneamente il suo vero aspetto e Telemaco lo scambia per un dio, gli chiede addirittura di essere risparmiato. Ulisse gli risponde: «No, non sono un dio. […] Io sono tuo padre, per cui tanto/hai sofferto e affrontato umane violenze». Inizialmente Telemaco non gli crede. È così tanto che aspetta il ritorno del padre che teme che il suo desiderio possa renderlo preda degli inganni di qualche demone.
Ma Ulisse lo induce a alzare la testa dal dubbio e guardare al cielo, laddove risiedono i Numi che hanno il potere di nascondere e rivelare la verità. «Telemaco, il fatto che tuo padre sia qui/non dovrebbe oltre misura stupirti. […] Opera è questa di Atena, dea predatrice,/che mi ha reso, così come vuole, e lo può,/ora simile a un vecchio mendico, ora a un giovane,/il corpo vestito di splendide vesti. È facile ai numi, che in cielo dimorano,/irraggiare di luce i mortali o abbassarli nell’ombra».
Induce Telemaco a confidare negli dei e a credergli. Si appella alla sua fiducia. Poi, quando il figlio l’ha davvero riconosciuto, Ulisse gli chiede anche un grande atto di fede: affrontare con lui i numerosissimi Proci con la sola promessa che Zeus e Atena interverranno in loro favore al momento opportuno. È una scommessa grande, ma alla fine Telemaco accetta. E grazie a questo atto di fede inquadrato nella volontà degli dei, ciò che razionalmente sembra una follia diventa una grande impresa.
Foto di Enrique da Pixabay
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