L’oboe e la fortunata coincidenza di Francesco Di Rosa

l oboe

“L’oboista dal suono perlato”. È così che il giornalista Luca della Libera identifica il timbro inconfondibile di Francesco Di Rosa, primo oboe dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma, nonché punto di riferimento mondiale per gli amanti di questo strumento.

57 anni di Montegranaro (Fermo), il Maestro ha tenuto tre intensi giorni di masterclass dal 20 al 22 febbraio al Conservatorio V. Bellini di Catania, ed è stata questa l’occasione per ripercorrere le tappe importanti della sua carriera, senza risparmiarci di qualche stuzzicante curiosità.

Come mai ha scelto l’oboe?

È stato un caso fortuito. Ho iniziato con il pianoforte verso i 7 anni e a 10 ho deciso di voler entrare in conservatorio. Io sono originario delle Marche e in quell’anno ha aperto il conservatorio di Fermo, derivato dal precedente liceo musicale; perciò, le classi di pianoforte erano tutte piene. Mi è stato suggerito di scegliere qualcosa di “originale”, come il fagotto, ma a quell’età non sapevo neanche cosa fosse. Nonostante avessi superato l’esame attitudinale non hanno aperto la classe di fagotto, venendo indirizzato allora nella classe di oboe; anche se avevo intenzione di ritornare al pianoforte l’anno successivo. Alla fine, mi sono appassionato. È stata veramente una coincidenza fortunata.

Lei è considerato uno dei migliori oboisti a livello mondiale … Cosa ne pensa?

Sì, dicono questo, ma non posso confermarlo! Di bravi oboisti ce ne sono tanti. Sicuramente ho fatto una bella carriera. Qualche tempo fa mi sono divertito a contare le mie performance da solista e ne sono uscite più di 350.

A proposito di queste numerose performance da solista, qual è stato il momento che più le è rimasto nel cuore?

Il concerto per oboe di Strauss alla Scala di Milano ha segnato una tappa veramente importante. In generale, è il mio concerto preferito, l’ho suonato e insegnato molte volte. È il mio cavallo di battaglia. L’ultima esecuzione insieme all’orchestra del Teatro dell’Opera di Marsiglia mi ha divertito molto ed è stata molto apprezzata dalla critica. Forse non c’è una performance in particolare, ma le più belle sono sicuramente legate al concerto di Strauss.

Parlando ancora di concerti importanti del repertorio per oboe, cosa ne pensa di quello mozartiano?

Penso sia il concerto più studiato al mondo dagli oboisti, specialmente le prime battute. Viene richiesto sempre nei concorsi. È un capolavoro, non c’è altro da dire. Siamo stati fortunati che Mozart abbia incontrato Giuseppe Ferlendis, colui che gli ha dato l’input per scriverlo poiché affascinato dal suo virtuosismo. Infatti, il nostro repertorio è molto limitato. Considera che non abbiamo concerti di Beethoven o appartenenti al periodo romantico. Possiamo dire che sia diventato “il” concerto per oboe, per la grande trasparenza e pulizia che comporta il suonarlo. Solamente eseguendo mezza pagina si capisce di che pasta sei fatto.

E di Mozart ha suonato anche il quartetto per oboe?

Si, tante volte. Fra il concerto e il quartetto preferisco decisamente il quartetto. È un gioiello. Il secondo movimento è poesia pura, con la sua raffinata semplicità. Per la prima volta l’oboe arriva al Re, Mib, Mi e Fa, e questo segna una tappa importante per l’evoluzione dello strumento, oltre al virtuosismo richiesto nell’esecuzione. È un piacere assoluto suonarlo.

Ha un brano strumentale preferito che non prevede l’oboe come protagonista?

Mi affascinano molto il corno e il violoncello; sono due strumenti che avrei voluto studiare. Nel repertorio del corno, i concerti di Strauss mi piacciono molto; per il violoncello possiamo andare dal concerto di Shostakovich a Dvořák o quello di Schumann, per non parlare del vasto repertorio di musica da camera del periodo romantico.

Se lei non avesse fatto il musicista, dove avrebbe indirizzato i suoi interessi?

Non saprei. Avrei avuto tante altre possibilità. Mio padre era un imprenditore calzaturiero e avrei potuto continuare la sua attività, anche se è stato contento del percorso che ho intrapreso. Ho fatto ragioneria, potevo diventare anche un commercialista. Per fortuna sono un oboista. Alla fine, posso dire di aver fatto quello che mi piaceva con non pochi sacrifici. Ci pensavo in questi giorni, essere un musicista non è sempre una passeggiata, non solo per le trasferte e lo studio, ma anche perché bisogna mettersi in discussione. Inoltre, noi oboisti abbiamo la grande rogna di doverci costruire le ance, che toglie ulteriore tempo. Con la fama ti crei un nome, e ciò comporta il fatto di trovarti sempre preparato per non deludere.

Come la gestisce la notorietà? Si considera una persona famosa?

Nell’oboe sicuramente si, siamo in pochi. La vivo con estrema semplicità, perché alla fine non siamo nessuno. Non l’ho mai vista come una cosa che mi arricchisce. Parlando proprio dal punto di vista economico, è stata una conseguenza, non lavoravo per arricchirmi. La fama è arrivata ma non mi ha cambiato minimamente. Quando ritorno al paese sono sempre “Francè”. È già un percorso difficile, se mi preoccupo della fama, lo diventerebbe ancora di più.

Ha qualche consiglio da dare ai ragazzi che pensano di intraprendere la carriera musicale?

Seguire la propria passione. Se ti piace molto la musica parti avvantaggiato perché è una professione che richiede sacrificio. Credo soprattutto che l’impegno e la costanza siano fondamentali. È un percorso che prevede crisi e difficoltà per tutti, ma ci si fa coraggio e si stringono i denti per superare tutto. L’obbiettivo deve essere chiaro e bisogna perseguirlo con costanza perché, soprattutto quando si è giovani, immagazziniamo tantissime informazioni che ci aiutano a costruire una base solida, fondamentale per sviluppare il proprio talento.

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