«Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste per viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza» è una delle terzine più famose della Divina Commedia. Fa parte del XXVI canto dell’Inferno. Si inserisce nel discorso che l’Ulisse dantesco rivolge ai suoi compagni di viaggio per convincerli ad attraversare con lui le Colonne d’Ercole, ovvero il confine del mondo conosciuto per gli antichi. Questo discorso costituisce la premessa al «folle volo», che «acquistando dal lato mancino» condurrà i viaggiatori direttamente all’Inferno.
Le Colonne d’Ercole e l’ignoto
Le Colonne d’Ercole corrispondono all’attuale stretto di Gibilterra, braccio di mare tra Spagna e Marocco delimitato da due promontori. Secondo la mitologia, su questi promontori Ercole avrebbe posto due colonne sormontate dalla statua di un uomo con in mano una tavoletta con sopra l’iscrizione “non plus ultra” (“non più oltre”). Nel mondo antico, attraversare le Colonne d’Ercole significava dunque violare un divieto divino e penetrare l’ignoto.
Ma l’Ulisse dantesco è talmente assetato di conoscenza che non può esimersi dal compiere quest’ultima estrema impresa da esploratore. Tra l’altro si rende conto di avere un’età avanzata e sa che mal che vada non ha che pochi anni di vecchiaia da perdere. Nemmeno la prospettiva di rivedere la moglie, il figlio e il padre riesce a distoglierlo dal suo proposito. E allora, vedendo i suoi compagni titubanti e timorosi, sfrutta la sua eccezionale capacità oratoria e il suo ingegno da consigliere fraudolento per far riprendere loro coraggio e spingerli all’avventura. Dice: «a questa picciola vigilia/d’i nostri sensi ch’è del rimanente/non vogliate negar l’esperienza,/di retro al sol, del mondo sanza gente».
La fiducia nelle capacità dell’uomo
Ulisse è convinto che la virtù morale e la conoscenza siano le ragioni ultime per cui l’uomo esiste e possiede l’intelletto. Per questo quando si tratta di soddisfare il desiderio di conoscenza l’uomo non deve porsi limiti. Da questo punto di vista l’Ulisse dantesco si configura quasi come un antenato degli umanisti poiché il suo discorso rappresenta un vero e proprio inno all’intelletto umano. Ma per Dante l’uomo non esiste al di fuori del rapporto con Dio e non può raggiungere la pienezza della conoscenza senza il Suo aiuto e la Sua misericordia.
Anche Dante approdando alla selva oscura ha oltrepassato un confine invalicabile, ma il suo viaggio è stato voluto dal Cielo. Dante inoltre non procede sfruttando solo le proprie forze, ma si avvale di guide d’eccezione che lo conducono verso la salvezza, lo aiutano a chiarire i propri dubbi esistenziali e lo accompagnano verso la conoscenza piena, quella che insegna a “vivere bene” e che coincide con l’Amore e la Bellezza intesi come valori assoluti.
La direzione del viaggio
Un’ultima differenza fondamentale tra il viaggio di Ulisse e quello di Dante sta nella direzione. Ulisse solca il Mediterraneo da Est a Ovest e compie un viaggio “orizzontale”. Dante invece si muove “in verticale”: scende all’Inferno, buca il centro della terra e continua a procedere in profondità fino a raggiungere il Paradiso. L’uno colleziona esperienze, l’altro penetra l’Esperienza della vita imparando a guardarla dal punto di vista di Dio.
Come dice Franco Nembrini nella sua edizione critica alla Divina Commedia: «Ulisse rimane sempre sulla superficie, navigando senza una meta che non sia dettata dalla pura curiosità di scoprire terre sconosciute», per questo incarna un’idea di esperienza che coincide con «una sterminata collezione di incontri che però non costituisce davvero la persona». Il viaggio di Dante invece rappresenta «la fatica di andare in profondità, di capire il nesso profondo fra sé, le cose e il Destino di tutto». Se dunque Ulisse ha avuto ragione a dire che non bisogna «viver come bruti», ha sbagliato nello scegliere il percorso. Avrebbe fatto meglio a restare a Itaca, a vivere fino in fondo l’amore della moglie, del figlio e del padre, i quali «sono esattamente il luogo in cui il Mistero per cui ci si sente fatti può essere trovato».
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