L’umile lattuga che salvò la vita di Gaio Giulio Cesare Augusto

lattuga

Nella gastronomia italiana la lattuga (Lactuca sativa) è divenuta nel tempo sinonimo d’insalata e come tale è spesso consumata, soprattutto in estate, a crudo condita solo con olio extravergine d’oliva, sale e aceto.

Quando infatti utilizziamo il termine «insalata» come mescolanza di cibi cotti e/o crudi salati e conditi siamo costretti inevitabilmente a specificare, come nel caso dell’insalata di pomodori, di pollo, di riso o di pasta, il tipo d’insalata a cui stiamo facendo riferimento.

Nel linguaggio comune l’insalata, rigorosamente cruda e verde, è associata ad un pasto leggero, frugale e dietetico, tutte cose che, come vedremo, hanno un loro fondamento scientifico nelle insospettabili proprietà di questo ortaggio così comune sulle nostre tavole.

Quante volte vi sarà capitato di dire, raccontando di un pasto frettoloso o ipocalorico, che avete mangiato giusto un’insalata o, come cantava Fred Bongusto, un’insalatina.
«Spaghetti, pollo, insalatina, e una tazzina di caffè», era infatti l’incipit di «Spaghetti a Detroit», gettonatissima canzone da piano-bar degli anni ’60 e ’70 che evocava un pasto divenuto negli anni solitario, mesto e frugale rispetto alle follie fatte dal protagonista a Detroit assieme alla mitica Lola.

Pochi forse sospettano che quest’abitudine alimentare, che col caldo estivo porta a ricercare cibi freschi e ricchi di acqua, che nel caso della lattuga occupa quasi il 95% del suo peso, ha origini antichissime.

Dal mito di Adone a Gaio Giulio Cesare Augusto

Nella cultura gastronomica italica la lattuga, che deve il suo nome al lattice che contiene (così che dalla radice lactis deriva il latino lactuca da cui il francese laitue, l’inglese lettuce e lo spagnolo lechuga) entra quasi certamente ad opera dei Greci.

Scriveva infatti Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia: «Lactucae Graeci tria fecere genera: unum lati caulis, adeo ut ostiola olitoria ex iis factitari prodiderint – folium his paulo maius herbaceo et angustissimum, ut alibi consumpto incremento -, alterum rotundi caulis, tertium sessile, quod Laconicum vocant alii colore et tempore satus genera discrevere; esse enim nigras, quarum semen mense Ianuario seratur, albas, quarum Martio, rubentes, quarum Aprili, et omnium earum plantas post binos menses differri». (I Greci distinsero tre specie di lattuga: una dal gambo largo, così che scoprirono che una di esse era cresciuta ai confini dell’orto:; una foglia erbacea, un po’ più grande di quest’ultima, e molto stretta, che crescono altrove quando vengono consumate; l’altro, di gambo rotondo, il terzo sessile, che chiamano Laconico; altri le distinguono per colore e periodo di raccolta; poiché ve ne sono di nere il cui seme è seminato in gennaio, bianche in marzo, rosse in aprile, e le piante di tutte loro si distinguono dopo due mesi) (Liber XIX, 125).

Ai Greci la lattuga deve essere giunta con i soliti percorsi dei cibi provenienti dalla Mezzaluna Fertile: in Mesopotamia pare fosse coltivata sin dal 4000 a.C..

In Egitto era considerata la pianta del dio Min, il dio della fertilità maschile con il quale è spesso rappresentata, e questo rende dissonante il mito egizio rispetto alle altre culture ad esso contemporanee e successive visto che la lattuga è altrove comunemente considerata anafrodisiaca e come tale entra nel Mito greco di Adone.

È tuttavia assai probabile che il Mito del dio Min egizio avesse a riferimento non la lactuca sativa, ma quella selvatica (L. virosa) che, in effetti, specie se se ne aspirano i fumi, ha un discreto potere afrodisiaco.

Tra i Romani, pure se Roma si lega ad una rinomata varietà di lattuga (la longifolia, dalle innervature spesse e carnose, detta appunto lattuga romana) non era inizialmente molto apprezzata perché di difficile conservazione a crudo, visto che con il caldo tende ad appassire rapidamente.
Un problema che la lattuga si trascinerà nei secoli: narrerà nel 1614 Giacomo Castelvetro nel suo «Breve racconto di tutte le radici, di tutte le erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano» che solo se l’ortolano era particolarmente sapiente nella coltivazione e nella raccolta si aveva la rara opportunità di gustare le sue foglie «come neve bianche» e «sghiaccide» cioé croccanti come il ghiaccio.

È assai più probabile, tuttavia, che i Romani, particolarmente attenti alla loro virilità e alla loro vigoria, temessero gli effetti anafrodisiaci e calmanti della lattuga sativa che peraltro consumavano prevalentemente cotta.

A sdoganare la lattuga in epoca imperiale romana sarà il medico di Gaio Giulio Cesare Augusto, Antonius Musa, che curò Augusto, salvandolo dalla morte, con bagni freddi ed una dieta a base di lattuga, presumibilmente cotta in purea, e per tale opera fu ricoperto di onori che si sostanziarono anche nell’erezione di una statua con la sua effige.

Ne riferisce ancora Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia: «Divus certe Augustus lactuca conservatus in aegritudine fertur prudentia Musae medici, cum prioris C. Aemilii religio nimia eam negaret, in tantum recepta commendatione» (Certamente è descritto salvato dalla lattuga il divino Augusto durante una malattia per la saggezza del medico Musa, mentre la proibiva l’eccessivo scrupolo del precedente C. Emilio) (Liber XIX, 128).

La lattuga, da allora, sia cruda in insalata, sia cotta, in purea, nelle salse o nelle zuppe (come la vignarola romana fatta di lattuga romana, carciofi, fave e piselli freschi), entrò a buon diritto nell’alimentazione dei Romani da cui, per le sue proprietà benefiche, non uscirà più.

Lo stesso Augusto la renderà parte integrante della sua dieta quotidiana, assai frugale a dispetto del suo ruolo.

Riferirà Svetonio: «Vini quoque natura parcissimus erat. Non amplius ter bibere eum solitum super cenam in castris apud Mutinam, Cornelius Nepos tradit. Postea quotiens largissime se invitaret, senos sextantes non excessit, aut si excessisset, reiciebat. Et maxime delectatus est Raetico neque temere interdiu bibit. Pro potione sumebat perfusum aqua frigida panem aut cucumeris frustum vel lactuculae thyrsum aut recens aridumve pomum suci vinosioris». (Anche nel vino era per natura assai sobrio. Cornelio Nepote riferisce che di solito non beveva più di tre volte per pasto quando era accampato davanti a Modena. Più avanti, nei suoi più grandi eccessi, non superò mai un sestario, ma se lo superava, lo vomitava. Preferiva in particolare il vino della Rezia e generalmente non beveva durante la giornata. Per dissetarsi prendeva un po’ di pane inzuppato in acqua fredda, o un pezzo di cocomero, o un gambo di lattuga tenera, oppure un frutto dal succo gustoso, appena colto o conservato).(Gaio Svetonio Tranquillo, Vita dei Cesari, 77).

Ed il salace Marziale ironizzerà a suo modo sulle virtù della lattuga ed i contrastanti pareri medici sul modo migliore di consumarla affermando: «Cludere quae cenas lactuca solebat avorum, Dic mihi, cur nostras inchoat illa dapes?» (Perchè mai, dimmi, la lattuga che di solito chiudeva le cene degli avi, adesso deve aprire i nostri pranzi?) (Marziale, Epigrammi XII, 14).

La lattuga nella gastronomia moderna

Caso raro, considerando le diverse opinioni che gli alimenti hanno generato nel tempo in ragione dell’evoluzione della medicina, le virtù della lattuga hanno attraversato le epoche senza mai essere messe in discussione.

Consumata prevalente cotta, all’uso francese, era considerata cibo freddo da utilizzare a contrasto del caldo. E cibo freddo, che fa buono il sangue e concilia il sonno, era reputata da Michele Savonarola, nel suo «Trattato utilissimo di molte regole per conservare la sanità» edito a Venezia nel 1590. Un utilizzo terapeutico che varrà alla lattuga l’erezione proprio a Venezia di una chiesa, San Nicoletto della Lattuga, che verrà poi abbattuta a metà dell’800.

Si narra infatti che il patrizio Nicolò Lion, Procuratore di S. Marco, ammalatosi e desideroso in piena notte di magiare lattuga, non trovandola altrove vista l’ora tarda ne ottenne dall’orto dei padri di S. Maria Gloriosa dei Frari e, risanatosi, fece erigere presso quel medesimo orto la chiesa. In seguito Vincenzo Corrado, nel suo «Del cibo pitagorico ovvero erbaceo», edito a Napoli nel 1781, scriverà che la lattuga «è molto rinfrescante, ed è contro l’ubriachezza, perchè con la sua frigidità reprime il calor del vino, siccome d’ogni altro cibo caldo e produce al dir di Bruirino, di Diascoride, di Ateneo, di Marziale, di Orazio, e del Magnanimo Medico Milanese un’infinità di mirabili effetti».

Lo stesso Anthelme Brillat-Savarin ne riferirà, nella sua Fisiologia del gusto del 1825, la capacità di conciliare il sonno.

Nei Paesi anglosassoni la lattuga giungerà relativamente tardi, complici il clima non certo favorevole ed una certa propensione per i condimenti grassi che mal si conciliano con la delicata lattuga.

A farsene ambasciatore a Londra, trasformando in un lucroso affare la sua abilità di condire l’insalata, un ricco borghese francese decaduto, il signor d’Albignac.

Questi, secondo un divertente aneddoto riportato dal suo contemporaneo Brillat-Savarin, durante un pranzo in un prestigioso ristorante londinese fu chiamato da alcuni facoltosi giovani inglesi al loro tavolo e gli fu richiesto di condire la loro insalata in quanto francese e quindi portatore a prescindere di un talento in tal senso. Egli s’impegnò a tal punto da essere prontamente nominato «fashionable salat-maker» ed in altre occasioni fu chiamato a dare prova delle sue abilità di conditore d’insalata nei palazzi di quella nobiltà così assetata di novità.

Ben presto trasformò la scatola degli ingredienti, che si portava appresso in questo singolare lavoro, in un oggetto da vendere, anticipando i condimenti in scatola e, raggranellata, per l’epoca, la considerevole somma di ottantamila franchi, tornò in Francia, nella natia Limousin, dove concluse i suoi giorni in moderata agiatezza.

Negli Stati Uniti, Paese dai fortissimi contrasti alimentari, la lattuga entra a buon diritto, seppure con altri ingredienti, nella celeberrima Caesar Salad, inventata negli anni ’20 del secolo scorso dallo chef di origine italiana Cesare Cardini, titolare di un ristorante a Tijuana, in Messico.

Sempre agli Stati Uniti si deve la creazione di una varietà di lattuga oggi particolarmente apprezzata per la sua croccantezza: la cosiddetta insalata Iceberg, selezionata alla fine dell’800 dalla Burpee Seeds Co., che deve il suo nome alle modalità di trasporto ferroviario in casse di ghiaccio tritato così che i cespi, arrivati a destinazione, si trovavano a galleggiare come Iceberg in laghi di acqua ghiacciata.

Ancora più recente, ma italiana, è la varietà Lollo, una lattuga riccia selezionata negli anni ’60 e dedicata a Gina Lollobrigida, la Lollo nazionale.

La lattuga nell’alimentazione contemporanea

Le antiche virtù salutari della lattuga sono oggi confermate dalla medicina e dalla dietetica. Particolarmente ricca di acqua e di fibre, che migliorano il transito intestinale, la lattuga, in special modo quella della varietà romana, è un cibo ipocalorico, che contiene buone quantità di provitamina A, indispensabile per il benessere della pelle e la protezione della vista, oltre alle vitamine del gruppo B (tra cui l’acido folico o vitamina B9, essenziale per il benessere dell’apparato cardiovascolare e molto importante in gravidanza) e alla vitamina C.

La varietà selvatica della lattuga, la Lactuca Virosa, è particolarmente ricca di Lactucarium, un liquido biancastro che ha effetti sedativi noti sin dall’antichità e che negli Stati Uniti fu utilizzato come alternativa all’oppio anche durante la Guerra Civile.

L’instabilità di questa sostanza ne impedisce, tuttavia, la preparazione industriale così che essa cadde in disuso fino ad essere recuperata negli anni ’70 dalla cultura hippie, che la considerava un’alternativa legale agli oppiacei, e poi dalla cosiddetta medicina naturale.

Anche nella varietà sativa vi sono, in particolare nel fusto, due molecole, Lattucopicrina e la Lattucina, che hanno un blando potere sedativo che la rendono adatta ad essere consumata la sera.
Un po’ come accadeva nella povera cena del sonetto del Belli, «La bbona famijja», con «le du’ fronne d’inzalata» che occupavano gran parte del pasto serale del protagonista, non per i loro benefici però, ma per scarsezza di mezzi.

Affinché resti un cibo ipocalorico è necessario che il condimento non sia eccessivo o particolarmente grasso.

Il suo condimento ideale, che ne esalta gusto e proprietà salutari, quindi è con un olio extravergine d’oliva di qualità, ma quali cultivar, tra le centinaia italiane, impiegare?

Secondo la Sommelier dell’olio Irene Carpinelli, su base nazionale una cultivar che si sposa bene con la lattuga cruda è la Nocellara del Belice, con la cotta invece meglio ripiegare sulla pugliese Peranzana. Se si vuole restare fedeli alle origini della lattuga romana ci si può avvalere invece della Salviana o della Gentile di Larino a crudo e, cotta, della Caninese o dell’Aurina.

Per l’aceto, scartati il balsamico modenese e l’aceto di mele, ancorché oggi di gran moda, è felice l’abbinamento con uno degli aceti di vino bianco della nostra ricca tradizione, come un toscano o un piemontese.

Quanto infine alle dosi, a meno di avere a portata di mano un contemporaneo signor d’Albignac, non resta che affidarsi alla tradizione popolare che richiede l’apporto di tre persone di differenti indoli: un saggio per il sale, un avaro per l’aceto ed un generoso per l’olio extravergine d’oliva.
Rigorosamente in quest’ordine.

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