Giovedì 30 gennaio un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle ha presentato la denuncia per la messa in stato d’accusa per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dopo averlo minacciato per mesi, l’annuncio ufficiale è arrivato ieri in conferenza stampa da parte di Federico D’Incà, capogruppo alla Camera, Luigi di Maio, vice presidente della Camera dei Deputati, Vincenzo Maurizio Santangelo, capogruppo al Senato, la Senatrice Paola Taverna e il senatore Vito Crimi, che hanno firmato la denuncia.
I parlamentari M5S sostengono a gran voce che il Quirinale ha oltrepassato nettamente i limiti posti dalla Costituzione e che il cosiddetto impeachment è un atto politico che si è reso necessario. Nei particolari accusano Napolitano di avere inciso in maniera profonda sulle attività degli organi costituzionali, sulla nostra stessa forma di Stato e di governo; di avere avvallato la modifica della Costituzione attraverso il raggiro dell’articolo 138; di avere sbilanciato gli equilibri istituzionali a vantaggio del Governo; di avere esercitato una dubbia influenza nelle indagini sulla trattativa Stato – mafia; e infine di avere accettato la sua rielezione, sapendo bene che la Costituzione non contempla tale possibilità.
Immediata la reazione del Presidente del Consiglio Enrico Letta: “È un atto grave, sbagliato, fuori da qualunque dimensione delle regole del nostro ordinamento, una semplice provocazione”. Molto freddo, invece, lo stesso Napolitano: “L’impeachment faccia il suo corso”.
Sulla messa in stato d’accusa, la Costituzione non è esaustiva: l’articolo 90 prevede che “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. / In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.”. Ora, le due fattispecie in questione – alto tradimento e attentato alla Costituzione – non sono molto chiare: le interpretazioni possono essere fra le più varie. Tuttavia, il costituzionalista Stefano Rodotà, in un’intervista al quotidiano l’Unità, afferma che oggi “non vi è nemmeno l’ombra di impeachment” e, interrogato sulla messa in stato d’accusa dell’allora presidente Cossiga, non ha dubbi: “Cossiga attaccava quotidianamente la Carta costituzionale, il Csm e singole persone. Voleva andare al Csm con i corazzieri, per scioglierlo, e solo perché Galloni aveva denunciato l’incompatibilità tra massoneria e magistratura. Altro che paragoni con Napolitano!”.
Il semplice fatto di avere presentato la denuncia non comporta ancora nulla. L’iter previsto per la messa in stato d’accusa del Presidente consta di più fasi. L’atto deve essere deliberato dal Parlamento riunito in seduta comune previa indagine svolta da un Comitato appositamente costituito. Il passo successivo è il giudizio della Corte Costituzionale, che solo in questo caso si presenta nella sua composizione integrata da altri 16 giudici.
La tensione istituzionale sta salendo sempre più. Nei prossimi giorni si avranno i primi sviluppi della questione.
di Francesco Galli
foto: ilsussidiario.net
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