A poche ore dal referendum indetto dal governo greco sull’accettazione o meno delle proposte economiche dei creditori europei per il superamento della crisi dello Stato ellenico, nessuno può oggettivamente fare previsioni su quello che sarà l’esito della vicenda e le sue conseguenze sull’Europa, Italia – soprattutto – compresa. E’ bene, tuttavia, fare un riepilogo delle posizioni e dei dati più salienti che condizionano il comportamento delle parti in causa.
In primis, va detto che UE e FMI si sono esposti per circa 240 miliardi di euro per finanziare il salvataggio economico della Grecia, a condizione di un pesante programma di austerity, accettato a suo tempo dal governo del paese, sotto la regia di Bruxelles. Dopo la Germania e la Francia, l’Italia (o meglio, le banche italiane) è il terzo creditore dello Stato greco. Tale programma “di salvataggio”, imperniato principalmente sui tagli di bilancio e insensibile alle esigenze della crescita, ha dato risultati oggettivamente discutibili, avendo comportato una riduzione del 25% del PIL della Grecia, rispetto al periodo pre-crisi e l’apertura di una vera e propria emergenza sociale nel paese. E’ pur vero che tale filosofia del risanamento è stata accettata e subita nel recente passato anche da altri Stati dell’Unione, quali, in primis, l’Italia, la Spagna e l’Irlanda; così come è vero che il sistema sociale ellenico era già un iniquo colabrodo molto prima della crisi.
A gennaio di quest’anno, le elezioni politiche greche hanno dato la vittoria al partito di Alexis Tsipras – pur non accordandogli la maggioranza assoluta in Parlamento – che ha formato un nuovo governo sulla base di un programma di rifiuto delle politiche economiche di austerity richieste dall’Unione europea. Tsipras ha subito richiesto a Bruxelles una rinegoziazione e/o ristrutturazione del debito greco verso i partners europei ma la sua linea di condotta è sembrata alla maggior parte degli osservatori quella del furbo mercante che chiede ulteriore credito, offrendo garanzie illusorie e che mira in particolare a non pagare le cambiali in scadenza.
Dopo una serie di altalenanti colloqui, l’ultima offerta dei creditori comportava una ristrutturazione del debito greco sostenibile con un aggiustamento di bilancio dell’1,7 per cento del prodotto interno lordo nell’arco di sei mesi; tale “aggiustamento”, tuttavia, avrebbe avuto come effetto moltiplicativo una ulteriore riduzione del PIL greco di circa il 12,5% in quattro anni e l’innalzamento del debito complessivo da circa il 180% a quasi il 200% del PIL. A questo punto, Tsipras ha abbandonato i negoziati e ha indetto il referendum del prossimo 5 luglio – ufficialmente – sull’accettazione o meno della proposta di Bruxelles, ma ventilando che la vittoria del no avrebbe avuto come conseguenza addirittura l’uscita della Grecia dal sistema dell’Euro. Contemporaneamente, il 30 giugno scorso, la Grecia non ha provveduto al pagamento della rata di 1,2 ml.di di euro con il FMI, con conseguenti effetti negativi anche sulla solvibilità delle sue successive scadenze debitorie.
L’effetto che Tsipras non aveva calcolato, invece, è stato quello che la popolazione si è riversata agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi in euro, temendo che, con il ventilato cambio della divisa monetaria, potessero trasformarsi in carta straccia svalutata e mettendo in forte crisi di liquidità il già agonizzante settore bancario greco. Inoltre, i primi sondaggi, hanno rivelato che una sua vittoria trionfale al referendum era aleatoria e che anzi non era esclusa una sua sonora sconfitta. La consultazione, insomma, anziché rafforzarlo, avrebbe potuto rivelarsi un referendum sulla sua persona e costringerlo alle dimissioni. Il “furbo mercante”, ha allora dichiarato al popolo che l’uscita della Grecia dall’euro – peraltro giuridicamente non prevista nei Trattati – non era in discussione e ha presentato una controproposta alla “troika”, senza attendere i risultati del referendum già indetto.
La risposta dell’eurogruppo, chiaramente, è stata quella di attendere gli esiti del referendum ma il discorso di Angela Merkel al Bundestag è stato durissimo. Il cancelliere tedesco, cioè il maggior creditore della Grecia, ha dichiarato che l’Unione europea si basa su un insieme di regole e che chi non le rispetta non può rimanervi, ventilando lei, a sua volta, una possibile uscita dello stato ellenico dal sistema dell’euro (cosidetta “Grexit”). Il premier italiano Renzi, che teme le conseguenze della “Grexit” sul mercato italiano e sullo spread si è subito recato a Berlino per smussare i toni della sua collega teutonica ma con risultati che al momento non si conoscono. Dopo di ciò, ogni soluzione è rimandata agli esiti della consultazione del 5 luglio.
di Federico Bardanzellu
[…] passato esattamente un anno da quando si è riusciti a evitare la “grexit”, cioè l’uscita della Grecia dall’Eurozona, grazie a un pacchetto di aiuti da 86 miliardi di […]