New York, 1841. La morte di una giovane e bella sigaraia, fa più scalpore di quanto si potrebbe immaginare. Cosa si cela dietro questo omicidio?
Difficili inizi
Mary Cecilia Rogers nasce a New York nel 1820 e non trascorre di certo un’esistenza agiata.
La madre è una donna indurita dalla solitudine e dalla tristezza di una vedovanza che l’ha messa in seria difficoltà economica. Pur di guadagnare quel poco che le occorre per non morire di fame e per tentare di allevare al meglio la sua figliola, la donna affitta alcune camere della sua casa, sita in Nassau Street, a pensionanti più o meno abituali.
Mary cresce in fretta e la bellezza la trasforma presto in un fiore che molti vorrebbero cogliere. La moda del tempo evidenzia i suoi pregi con i colletti di pizzo che incorniciano il candore del volto, le pettorine castigate che, tuttavia, aderiscono ai giovani e floridi seni ed i corsetti stretti in vita. Alla madre, inizialmente, non piace punto che la figlia si esponga agli sguardi degli uomini, ma Mary si sente padrona del mondo: è giovane, è bella, ha la vita davanti.
La vita, già. La vita è quella cosa che esiste finché non viene la morte a reciderla. Tutto considerato Mary non ha la vita davanti; a dirla tutta ha poca vita e molto orrore, ad attenderla.
John Anderson ha un negozio di sigari a Broadway, il classico negozio che l’America puritana vuole frequentato da soli uomini. Una bella ragazza dietro il bancone potrebbe incrementare notevolmente le vendite. E’ così che offre un impiego a Mary Rogers, la quale, incurante della cattiva luce in cui un simile lavoro avrebbe messo la sua reputazione, accetta con entusiasmo. E’ una ragazza estremamente moderna, nel carattere, e decisa a marciare verso la realizzazione lavorativa personale. A quei tempi – e, purtroppo, non solo a quei tempi – queste erano gravi colpe, per una donna, da espiare persino con la vita.
Gli affari vanno bene, inizialmente, sia per il negozio, sia per Mary. Ma non si pensi ad un suo reprensibile comportamento: ella non dà adito a nessuna chiacchiera.
La Bella e le Bestie
Gennaio 1841. Senza preavviso Mary non si presenta a lavoro. Nessuno l’ha vista; nessuno sa dove sia. Sembra svanita nel nulla. Anderson dichiara di non avere la minima idea di dove sia. La madre teme il peggio e chiama la polizia, ma nemmeno gli agenti riescono a rintracciarla. Sei giorni dopo, la fanciulla torna a casa: ha l’aria sofferente, malata. Afferma di essere andata a trovare lontani parenti. La polizia non può fare altro che archiviare il caso di scomparsa, ma la madre di Mary non la beve. Chi è andata a trovare? E perché non avvisarla? Alcune voci di quartiere parlano di una fuga d’amore in compagnia di un ufficiale della Marina. Se così fosse, sarebbe tornata florida e sorridente, non pallida ed emaciata. La gioia di riaverla in casa, però, fuga ogni sospetto e, come Anderson, anche la madre sembra accontentarsi presto della malferma spiegazione fornita dalla ragazza.
Qualche giorno dopo, però, Mary sparisce nuovamente. Notizie di lei giungono alla madre un mese dopo, quando le viene detto che la figlia si è fidanzata ufficialmente con un certo Daniel Payne, ex affittuario della casa di via Nassau. Vuole lasciare il lavoro di sigaraia. La madre la sconsiglia vivamente.
C’è da chiedersi il perché Mary, invece di condividere con la madre e con Anderson la lieta notizia del suo fidanzamento, preferisca viverlo nel buio, fuggendo da tutto e da tutti. La figura di Anderson muta sensibilmente, alla luce di ciò: nell’offrirle un lavoro aveva assunto l’aria benevola di un secondo padre, per Mary; ora, invece, su di lui si addensano le nubi scure del sospetto, sospetto che sia un uomo da cui fuggire. Anche la figura della madre si fa meno limpida. Inizialmente si era mostrata contraria al lavoro di sigaraia che la figlia aveva accettato; poi, però, non vuole che lo lasci. Cosa c’è dietro questo cambiamento d’opinione? Non vuole che lasci il lavoro o non vuole che si allontani da Anderson? E perché, invece, Mary se ne vuole andare? Le risposte possono intravedersi, diafane ma pesanti come macigni, nei fatti successivi; drammatici fatti.
Dopo cinque mesi di fidanzamento, Mary scompare di nuovo. Verrà trovata, ma cadavere.
Venti di morte
Domenica 25 luglio 1841. Mary bussa alla porta del suo Daniel e gli comunica che sarebbe andata a trovare la zia Downing, in Bleecker Street. Nel pomeriggio scoppia un violento temporale. Daniel Payne rientra in casa, la sera, sicuro che Mary avrebbe dormito dalla zia. Il giorno dopo, però, di lei non vi sono tracce. Daniel si reca dalla signora Downing, ma apprende con allarme e sconcerto, che Mary non è mai stata lì.
Trascorrono due giorni di silenzio ed angoscia. Poi, il mercoledì, tre pescatori rinvengono il cadavere di Mary nelle acque di Castle Point, a Hoboken. Il corpo presenta mutilazioni e tracce visibili di sevizie, come riferisce il New York Tribune. Indossa ancora i vestiti, benché manchi il bustino, ed una parte del pizzo della gonna le è stato conficcato così profondamente in gola da emergere solo in sede di autopsia.
I risultati medici sono inequivocabili: Mary è stata violentata. Forse, però, c’è qualche altro orribile atto che, durante l’autopsia, può essere confuso con la violenza sessuale.
Iniziano le indagini che a poco conducono. Daniel Payne, il fidanzato, apparentemente prostrato dalla perdita, si rifiuta di andare a riconoscere il cadavere, pur non cessando mai di cercare il colpevole. I sospetti su di lui cadono immediatamente.
Una settimana dopo la scoperta del cadavere, al coroner giunge una lettera anonima nella quale si afferma che, il giorno dell’omicidio, Mary sarebbe giunta a Hoboken a bordo di una barca in compagnia di sei uomini dall’aria poco rispettabile, con i quali sembrava avere allegra confidenza; una volta sceso a terra, il gruppetto, tra risate sguaiate ed un vociare indiscreto, si sarebbe recato nel bosco adiacente il porto. Poco dopo era attraccata una barca con tre individui, uno dei quali aveva chiesto ai pescatori del luogo se avessero visto una donna in compagnia di sei uomini. La risposta era stata positiva: si erano diretti al bosco. Evidentemente in cerca solo di conferme, i tre avevano ripreso la via acquatica verso New York.
La polizia, ovviamente, tenta di seguire la pista ed interroga i pescatori di Hoboken, i quali confermano di aver visto la ragazza in compagnia di sei uomini, ma non sono in grado di dire con certezza che si trattasse proprio di Mary Rogers. Anzi, è probabile che non lo fosse, visto che, conoscendola personalmente, l’avrebbero identificata con certezza; e sarebbe stato anomalo, se non sospetto, il contrario. Che la lettera sia un tentativo di depistare le indagini, gettando fango sulla vittima di una violenza e facendola passare per donna di facili costumi, è non solo possibile, ma probabile. Del resto, non sarebbe stata una novità, per quei tempi; anzi, non lo è neppure per i nostri, purtroppo.
Ben più circostanziata e credibile è la testimonianza di un cocchiere di nome Adams, il quale riferisce di aver visto Mary Rogers al porto di Hoboken in compagnia di un uomo. Indossava abiti eleganti, quell’ignoto accompagnatore. Insieme si erano recati alla locanda Nick’s Mullen, gestita da una certa signora Loss. La donna conferma: la coppia aveva riposato in una camera e, poi, si era diretta verso il bosco per fare una passeggiata. La Loss aveva, poi, udito delle urla provenire dal bosco, ma non vi aveva dato peso, poiché era luogo poco raccomandabile e spesso era frequentato da donne che facevano mercimonio del proprio corpo e da ubriachi.
Il tempo passa senza che la polizia venga a capo di nulla. Un ulteriore indizio sbuca quasi casualmente due mesi dopo il delitto: alcuni ragazzi, giocando nel bosco di Hoboken, in una radura, trovano il corsetto mancante di Mary, il suo ombrellino da sole ed un fazzoletto con le sue iniziali ricamate. O la polizia aveva setacciato malissimo quel bosco, o quegli oggetti vi erano stati messi successivamente all’omicidio. Nessuno sembra pensarlo, però. Di sicuro non lo pensa il fidanzato il quale, non si sa se spinto da non ben precisati sensi di colpa, od annientato dalla conferma che Mary, la sua Mary, si era recata in quel posto con un altro uomo, si suicida poco tempo dopo in quella stessa radura.
Fioccano le accuse originate dai “si dice” della gente. Alcuni dichiarano di aver visto Mary in compagnia di un losco figuro, tal Joseph Morse, abituale giocatore d’azzardo, il quale risulta abbia lasciato New York proprio il giorno dopo l’omicidio. Viene rintracciato ed interrogato, ma il suo è il classico alibi di ferro: a quanto riporta il giornale Tribune, il giorno del delitto egli era in compagnia di una signorina di facili costumi a Staten Island; signorina che egli, erroneamente, credeva essere Mary Rogers, tanto che, saputo dell’omicidio, era fuggito per paura di venire indiziato. La donna, rintracciata dalla polizia, conferma l’alibi di Morse.
Mary Rogers e Marie Roget
Passa un anno. La triste storia della bella sigaraia è ormai il sottofondo di una cronaca cittadina e non occupa più le prime pagine dei giornali, ma uno scritto, ben più impegnativo di un articolo di giornale, la riesuma dall’ombra per farla tornare alla ribalta. Lo Snowden’s Ladies’ Companion pubblica a puntate un nuovo racconto di Edgar Allan Poe, Il Mistero di Marie Roget. La vicenda narrata dallo scrittore è ambientata a Parigi ed i nomi sono stati cambiati, ma è della sigaraia di New York che egli parla.
Inizialmente afferma che un solo uomo l’abbia uccisa, a seguito di violenza carnale; ma, poi, rivede il finale della sua storia ed afferma che in molti dovevano aver concorso ad ucciderla ed a trasportarla lontano dal luogo del delitto.
L’accuratezza e l’ossessiva attenzione dello scrittore per il caso Rogers attira su di lui il sospetto d’essere egli stesso l’assassino. E’ quanto affermano Graham Fuller e Ian Knight sul n. 152 della rivista The Unexplained. Secondo i due giornalisti, Poe, nel 1841, era completamente sopraffatto dalla malattia che stava portando la moglie alla tomba ed era dedito all’alcol. Pensare, per ciò solo, che abbia ucciso, però, è un tantino azzardato; peraltro non vi sono indizi concreti se non le illazioni pubblicate da Fuller e Knight. La pista di Poe viene abbandonata, dunque, ma il ritrovato interesse per Mary Rogers approda a ben altro.
Samuel Copp Worthon, avvocato della figlia di Anderson, dopo la morte di quest’ultimo indaga sul caso Rogers, per conto della sua cliente, e recupera gli atti della Corte Suprema, dai quali emerge un quadro senza dubbio più complesso, che lo stesso pubblicherà, sotto forma di memoriale, sulla rivista American Literature del 1948.
Dagli atti si evince che, durante gli interrogatori resi da Anderson, questi aveva infine ammesso di aver versato alla donna molto denaro affinché abortisse. Ciò spiegherebbe il suo primo allontanamento dal lavoro ed il ritorno in condizioni di salute precarie. Chi fosse il padre dello sfortunato bambino è facile immaginarlo: sicuramente Anderson non si sarebbe preoccupato dell’aborto, se non avesse avuto a che fare con quel concepimento.
E’ probabile che, a sei mesi da questo primo aborto, Mary ne abbia affrontato un altro, cosa che spiegherebbe il suo allontanamento, il giorno prima del delitto. E se quella che venne interpretata in sede autoptica come violenza sessuale fosse l’esito di un secondo aborto clandestino praticato nella taverna della signora Loss? Se quel frammento di pizzo spinto fino in gola fosse servito a soffocare le urla di dolore? Se l’uomo alto e distinto in compagnia del quale l’avevano vista al porto di Hoboken fosse stato un medico senza scrupoli? Sappiamo come si praticavano gli aborti, al tempo: macelleria pura. Il feto veniva raschiato via con qualunque strumento acuminato, persino con le forchette, come accaduto, nel 1900, ossia sessant’anni dopo la morte della sfortunata Mary Rogers, ad una giovane donna italiana, Isolina Canuti, anch’ella finita in un fiume, l’Adige, quasi l’acqua possa mondare l’orrore degli uomini che massacrano le donne. La Loss, in punto di morte, forse per tentare di affrontare il viaggio nell’aldilà senza fardelli eccessivi, confessò di aver coperto per anni le atrocità di quell’ultimo giorno di vita di Mary. Non so se sia morta sollevata, dopo aver descritto l’orrore di cui era stata complice, ma credo che il suo non fosse fardello di cui liberarsi con una confessione.
Alla luce di tali conclusioni, si vede come il racconto di Poe, pur affascinante, sia totalmente falsato.
La verità è morta con Mary, ovviamente, ma è credibile che Anderson, suo ricco amante, l’abbia messa incinta ed abbia pagato per il suo aborto; che, da quel momento, la ragazza, perduta la sua illibatezza, abbia avuto rapporti prematrimoniali anche con il suo fidanzato Daniel Payne; che quest’ultimo l’abbia messa incinta; e che la madre, inevitabilmente al corrente di tutto, abbia cercato di convincerla ad abortire una seconda volta, dissuadendola dallo sposare Payne, visto che Anderson era molto generoso. Oppure, è possibile che Anderson fosse responsabile anche della seconda gravidanza e che Payne, ingelosito, abbia seguito Mary e, dopo l’aborto, magari a seguito di un litigio, l’abbia uccisa nella radura boschiva che sarebbe stata, poi, teatro della sua stessa morte. In entrambi gli scenari, di colpevoli ne abbiamo molti, non ultimi la madre di Mary ed il vecchio sig. Anderson, estranei all’uccisione del suo corpo, forse, ma non a quella della sua anima, avendola costretta a tollerare tanto degrado.
Detta così sembra niente; sembra una storia lineare e tragica. Ma non c’è nulla di lineare in un simile contorto intreccio di non-affetti che hanno esposto Mary Rogers ad un’orribile morte per la sua sola colpa d’essere giovane e bella, ma soprattutto d’essere donna.
di Raffaella Bonsignori
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