Quanto può essere stridente il contrasto tra un’Italia in perenne conflitto tra opposti, tra diversi, tra incapaci di comunicare e il suo Presidente che prova a ristabilire un contatto tra mondi prossimi alla impermeabilità?
Da circa settant’anni, il discorso del Presidente della Repubblica agli italiani si è fatto prassi, momento di riflessione e spunto di utile se non indispensabile confronto.Molto diverso, per fini e contenuti, da quello, costituzionalmente sancito, sullo stato dell’Unione che annualmente il Presidente degli Stati Uniti tiene di fronte al Congresso riunito in seduta plenaria. In tale discorso il presidente descrive sia le condizioni generali della nazione sotto un profilo sociale, economico e politico, sia gli impegni governativi correnti, i progetti per il futuro e le priorità, riflettendo, come naturale per quella forma di governo, la propria agenda di governo. Strutturalmente diverso per il ruolo e la connotazione geo-politica, ad esempio, anche da quello che tiene il Presidente della Commissione Europea, unico organo cui compete redigere le proposte di nuovi atti legislativi europei.
Da circa settant’anni il nostro Presidente si rivolge agli italiani, ai corpi intermedi e alle istituzioni, quasi sempre per dare un segnale, non neutro, di dove il paese si trova in un determinato momento storico. I Presidenti succedutisi dalla nascita della Repubblica ad oggi hanno descritto e ben rappresentato i difficili momenti del dopoguerra, la rinascita economica del nostro paese, gli anni del terrorismo, la dissoluzione del sistema dei partiti della cosiddetta prima repubblica, le crisi del mondo del lavoro ed economiche, i mutamenti degli assetti politici del paese, i difficili problemi dell’integrazione e della coesistenza.
Nel discorso tenuto ieri sera, il Presidente Mattarella, pur con la sobrietà ed il tratto che lo distingue, è parso avvicinarsi di molto al memorabile “io non ci sto” del suo predecessore Scalfaro. Parlando di Repubblica come “nostro comune destino” ha riassunto in maniera efficacissima la necessità di ripristinare al più presto un cammino condiviso e distante dagli ordinari stereotipi di questi ultimi mesi. Se è giusto battersi per le proprie idee non lo è “l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore”.
Occorre rifiutarli, occorre urlare io non ci sto.
Occorre opporsi al legittimo bisogno di sicurezza quando diventa intolleranza, pregiudizio, chiusura. È necessario saper distinguere tra le promesse elettorali che diventano armi distruttive di battaglie politiche e personali senza fine e le reali necessità di tutto un paese.
Occorre rifiutare le “ricette miracolistiche” che, nei fatti, espongono il paese tutto ad enormi rischi di isolamento economico e politico e riconoscere che “soltanto il lavoro tenace, coerente, lungimirante produce risultati concreti” e ciò non solo per le attuali, ma, soprattutto, per le future generazioni.
Con grande pacatezza, ma altrettanta determinazione, il Presidente ha “ giustificato “ la propria firma sulla legge di bilancio dello Stato, richiamando e reclamando decisamente senso di responsabilità e necessità di rifiutare metodi e comportamenti del confronto politico che mortificano la dialettica costruttiva e le istituzioni stesse.
Era necessario scongiurare l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea nei confronti del nostro paese per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte. Accettando di promulgare la principale legge dello Stato, malgrado le evidenti perplessità sui contenuti della stessa e sui metodi attraverso i quali è stata approvata in Parlamento, il Presidente ha riaffermato un principio di prevalenza del bene comune e contemporaneamente ha dichiarato di non poter accettare la grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali. Ha ribadito in sostanza il suo personale non ci sto.
Il Presidente Mattarella, con le sue parole, ci ha invitato a non riconoscerci e a dire non ci stiamo ad immedesimarci in un Paese che penalizza la solidarietà, che vive di estremismi, che rischia di dimenticare l’importanza della universalità e dei diritti di cittadinanza.
Fonte foto: ilfattoquotidiano.it
Scrivi