Matteo Messina Denaro e le minacce al Pm Di Matteo. Chi sono i veri mandanti?

messina_denaro_r439_thumb400x275Lo spauracchio Matteo Messina Denaro aleggia da sempre nell’aria di Cosa Nostra, nonostante il boss del trapanese sia latitante dal 1993. Che sia protetto dagli apparati istituzionali deviati, oltre che dalla malavita stessa e da una parte degli stessi concittadini, non è mistero.

Così come non è un mistero il fatto che il suo nome sia legato alle stragi di Stato più efferate, dai Gerorgofili a Via D’Amelio, per citare quelle più significative. Fin da ragazzo, Matteo ha snocciolato compiacente, l’elenco delle sue vittime, (donne e bambini inclusi)senza mai mascherare un lucido cinismo che sembra essere il suo marchio di fabbrica.

Proprio il cinismo e lo smisurato amore per gli status symbol, oltre che un grande capitale, l’hanno avvicinato ai poteri forti e sarà per questo che ad oggi latita tranquillamente, nonostante vi sia la quasi totale certezza che il suo covo sia collocato tra Castelvetrano (sua città natale) e Catania. Ebbene, ultimamente il suo nome echeggia con una certa frequenza nelle Procure sicule, a causa delle minacce di morte rivolte al magistrato Antonio Di Matteo. Solo pochi giorni fa il mafioso Vito Galatolo aveva affermato “ C’è un progetto di morte nei suoi confronti, ancora valido.

L’esplosivo è nascosto in un bidone. I mandanti per lei sono gli stessi di quelli di Borsellino. E sono interessate anche entità esterne a Cosa nostra”. Galatolo ha altresì dichiarato che nel 2012 Matteo Messina Denaro avrebbe indirizzato un a lettera ai capimandamento di Cosa nostra, nella quale ordinava di preparare l’attentato nei confronti del magistrato palermitano poiché, “Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre”. Poiché le logiche stragiste prevedono che le morti eccellenti debbano essere approvate all’unanimità da un triumvirato della supercommissione ( 3 membri delle cinque Entità: Mafia, n’drangheta, Servizi deviati, Massoneria deviata, Vaticano deviato) c’è da chiedersi chi siano oggi i membri al vertice di tale commissione.
Riina è il vero boss?

Probabilmente no; probabilmente le intercettazioni dal carcere di massima sicurezza, in cui minacciava Di Matteo sono dei tentativi di depistaggio; probabilmente se Riina fosse stato il numero uno le Mafie non avrebbero permesso la sua cattura; probabilmente le Mafie hanno preferito Messina Denaro in quanto più carismatico del rurale Riina, cui affidare il cambio del vertice: ergo il vero numero uno. Ma è anche probabile che Matteo non sia il vero numero uno e che sia il numero due, se non il numero tre all’interno di una gerarchia internazionale ben più complessa.

Sta di fatto che Antonino Di Matteo è troppo scomodo perchè ha toccato i fili scoperti, mettendo in risalto le connessioni fra mafia, politica, imprenditoria, massoneria, servizi, istituzioni, grazie alle indagini sulla Trattativa Stato/Mafia. I nomi eccellenti sono Napolitano, Mori, Subranni, Mancino, nonché i politici che si sono mossi per far sorgere un nuovo movimento politico (Forza Italia) per tramite di Marcello Dell’Utri.

Da queste connessioni perverse è nata la Seconda Repubblica ed il sangue di Falcone e Borsellino ne è stato il tramite. Oggi Matteo per garantirsi la latitanza e di conseguenza l’appoggio dei poteri forti, deve esibire lo scalpo di qualche giustizialista scomodo. Da qui la necessità di minacciare il Pm palermitano. Così se in passato l’accordo fu stretto con sangue dei due martiri, grazie anche alle garanzie di Dell’Utri (oggi agli arresti), adesso c’è bisogno di una nuova sterzata.

La stessa paventata dall’ex boss dell’Acquasanta, che ha sottolineato che il progetto di morte nei confronti di Di Matteo è ancora in programma e lo Stato-Stato non può restare a guardare. Adesso allora ci si affida alla coscienza di Alfano che a distanza di un anno ha rinnovato la promessa, non ancora mantenuta, di dotare di bomb jammer la scorta del magistrato.

di Simona Mazza 

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