Dal 1993 Matteo Messina Denaro è ricercato per associazione di stampo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplodente, furto ed altri reati. Dal 29 giugno del 1994 “sono state diramate le ricerche in campo internazionale per arresto a fini estradizionali”.
Dal 6 maggio del 2002 egli risulta condannato in maniera definitiva all’ergastolo a seguito delle stragi del 1993. Gli inquirenti ritengono che egli sia “l’anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova mafia”. Avrebbe fatto uso di armi fin dall’adolescenza ed ucciso la sua prima vittima a 18 anni, per poi entrare a pieno titolo negli affari di Cosa Nostra intorno ai 20 anni di età. Tra i settori d’interesse del boss vi sono i traffici internazionali di droga ed armi, il controllo delle attività commerciali, la macellazione clandestina e lo sfruttamento delle locali cave di sabbia, la vendita di opere d’arte rubate, la gestione dell’energia eolica nel sud.
Dopo le stragi del 1992 in cui furono uccisi i giudici Falcone e Borsellino, l’arresto di Totò Riina e l’introduzione del regime carcerario duro (41 bis), si ritiene che all’epoca Messina Denaro abbia fatto parte dei “falchi” di Cosa Nostra: il mafioso avrebbe cercato di costringere il potere politico e gli apparati statali a giungere a patti, a trattare; rientrerebbero in tale linea le stragi e gli attentati del 93 di Firenze, Milano e Roma, che causarono 10 morti e 106 feriti oltre alla distruzione di opere d’arte.
Messina Denaro sarebbe anche il “conservatore” delle carte più scottanti della mafia siciliana; gli sarebbero state affidate per volontà di Totò Riina poco dopo l’arresto del 15 gennaio 1993; Matteo sarebbe anche una sorta di “ministro degli esteri di Cosa Nostra” per la sua conoscenza di esponenti mafiosi operanti al di fuori dell’Italia.
Ebbene le terribili azioni di cui si è reso responsabile non sembrano impedire che il boss assuma, agli occhi di molti, un fascino a livello sociale, come dimostrano i numerosi profili sul principale social network sotto il nome di Matteo Messina Denaro, oltre ad una “pagina Fan”, che ne descrive le “gesta” annoverandolo come personaggio pubblico, seguita da 613 contatti ed i numerosi murales sparsi per la provincia di Trapani, inneggianti il suo nome.
Uno studio delle informazioni biografiche, integrato con un’analisi delle lettere che il boss inviava all’allora capo latitante Bernardo Provenzano e ad altri interlocutori, permettono di mettere in luce alcuni degli elementi caratteristici della leadership e della personalità del latitante: una dimostrata “audacia” e temerarietà personale, forti capacità organizzative e di creazione di una fittissima rete sociale che gli assicurano la protezione necessaria a mantenere la condizione di latitanza; una certa capacità di adattamento, una flessibilità che lo mette in grado di passare da una “filosofia” riconducibile all’ala più violenta di Cosa Nostra, partecipando attivamente alla strategia stragista voluta da Riina, ad un comando caratterizzato dalla mediazione e da un uso misurato della violenza.
Il boss si differenzia nettamente dai precedenti capi-mafia, che facevano della religione un baluardo del proprio potere, nel momento in cui si definisce ateo e fatalista. Matteo Messina Denaro è disilluso: appare spinto da un sentimento di sfiducia e completa delusione nei confronti dello Stato, delle sue leggi e di chi lo governa e dalla convinzione che Cosa Nostra rappresenti una valida e migliore alternativa ad esso, come un vero e proprio sistema alternativo e parallelo allo Stato, in grado, nell’ottica del boss, di assicurare ai cittadini ciò che promette.
Quello delineato dal boss è uno Stato senza storia, un sistema di giustizia completamente fallace, uno Stato che afferma a spada tratta di voler reprimere la mafia ma che all’occorrenza e per i propri interessi risulta disposto a svendersi ad essa.
A livello sociale appare necessaria una riflessione: probabilmente ciò che permette ad un personaggio criminale, colpevole di essersi macchiati di alcuni dei più atroci delitti, di acquisire una certa popolarità e sostegno a livello sociale potrebbe essere da un lato la mancanza dal punto di vista operativo di uno stato che, in particolare per quanto riguarda alcune aree del paese, risulta assente nel garantire la legalità, dall’altra il “vuoto” dal punto di vista simbolico, rappresentato dalla mancanza di modelli morali e valoriali cui aspirare tra i nostri personaggi pubblici.
di Lara Baldassi
foto: narcomafie.it – livesicilia.it – generazionezero.org –
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