Il megalodonte era il più temuto re degli oceani. Grazie a un fossile ben conservato, si è ottenuto il primo modello 3D del pesce estinto
Megalodonte: la scienza riproduce le fattezze del “pesciolone”
Il megalodonte (Otodus megalodon) era uno squalo gigantesco che spadroneggiava tutti gli oceani milioni di anni fa. In effetti, i suoi resti sono stati trovati in ogni continente, ad eccezione dell’Antartide.
A parte la sua reputazione di “cattivo”, di lui si è persa ogni traccia.
Sicuramente è comparso circa 23 milioni di anni fa, in era Cenozoica, e si è estinto circa 3,6 milioni di anni fa, per una serie di ragioni.
Oggi, una nuova ricerca, condotta da studiosi provenienti da Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti, Australia e Sud Africa, è riuscita a riprodurne le fattezze grazie ai fossili di denti e scheletro.
Il risultato?
Una ricostruzione 3 D che lascia letteralmente “a bocca aperta”.
La ricerca è stata pubblicata su Science Advances.
Caratteristiche fisiche del re degli oceani
Secondo gli scienziati, il megalodonte primeggiava in velocità. Il suo record personale era di oltre 5 chilometri all’ora, rispetto ai 3 chilometri all’ora degli squali bianchi.
Pesava circa 70 tonnellate, quasi quanto 10 elefanti.
Era lungo oltre 15 metri (dal muso alla coda), praticamente quanto un autobus.
Ma ciò che più sorprende, è la scoperta secondo cui sarebbe stato in grado di divorare balene ed orche in soli cinque morsi.
Addirittura divorava uno squalo bianco per intero, in un sol boccone!
Questa capacità gli derivava dall’ampiezza della mascella, che arrivava a quasi 2 metri di larghezza e dalla capienza del suo stomaco (aveva una portata di oltre 10.000 litri).
Il lauto pasto gli consentiva il giusto apporto calorico e nutritivo per circa due mesi.
Ciò significa che la scomparsa del megalodonte dagli oceani potrebbe aver cambiato l’ecologia sottomarina in modo più significativo di quanto si possa pensare.
L’importante ruolo ecologico del megalodonte
«I nostri risultati suggeriscono che O. megalodon ha svolto un ruolo ecologico importante come superpredatore transoceanico».
Ad affermarlo è la paleobiologa Catalina Pimiento dell’Università di Zurigo in Svizzera, che ha svolto gli studi insieme a un team di ricercatori guidato dal paleobiologo Jack Cooper della Swansea University, nel Galles (Regno Unito).
«Il superpredatore dominava incontrastato il suo ecosistema», ha precisato il coautore John Hutchinson, che studia l’evoluzione del movimento animale al Royal Veterinary College britannico. «Non si può paragonare a nessun altro animale».
«La sua estinzione probabilmente ha avuto grandi impatti sul trasferimento globale di nutrienti e sulle reti alimentari trofiche».
A beneficiare della sua triste fine, sono stati i cetacei, che hanno potuto prosperare maggiormente senza essere cacciati da un predatore dalle dimensioni così imponenti.
Utile precisare che attualmente le orche attaccano gli squali in Sudafrica, ma è probabile che quando il megalodonte solcava gli oceani la situazione fosse inversa.
Perché si è estinto il megalodonte?
Esistono molte teorie sull’estinzione del megalodonte. Probabilmente l’abbassamento dei livelli del mare e il raffreddamento degli oceani hanno giocato un ruolo importante, dato che si trattava di una specie abituata a vivere in acque calde.
Un altro fattore determinate è imputabile alla diminuzione del numero delle sue prede.
Assemblare i pezzi di un puzzle complicato
Torniamo alla ricostruzione 3D. Per arrivare alla descrizione dei giorni scorsi, sono stati assemblati tutti i reperti fossili dello squalo, tra cui i denti e il morbido scheletro cartilagineo.
I primi, perfettamente conservati, danno l’idea della stazza del “gigante marino”.
Sono grandi quanto una mano umana!
Piccola curiosità: in passato era piuttosto comune trovare i denti di megalodonte e nel Rinascimento si pensava che fossero lingue di drago fossilizzate. Solo nel XVII secolo un naturalista danese li identificò e classificò come denti di antichi squali.
Lo scheletro cartilagineo – in particolare le sue vertebre, trovate nel 1860 e conservate al Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Bruxelles, aggiungono ulteriori informazioni.
Esse appartenevano ad un megalodonte adulto morto circa 18 milioni di anni fa, in pieno Miocene.
Dai risultati è emersa una certa somiglianza con gli squali bianchi (Carcharodon carcharias), anche se le due specie non appartengono alla stessa famiglia.
Passo dopo passo si arriva alla ricostruzione
Veniamo alle tappe della ricostruzione.
- Colonna vertebrale: è stata la prima parte ad essere ricostruita;
- Bocca: essa è stata aggiunta da una scansione di denti di megalodonti conservati negli Stati Uniti;
- Scansione 3D di uno squalo bianco sudafricano: è servita per ricostruire il corpo intorno alla colonna vertebrale e alla mascella.
Conclusioni sul mitico animale
Lo straordinario modello 3D del megalodonte potrà essere utilizzato come base per future ricostruzioni e ulteriori ricerche scientifiche. Alla Swansea University concludono: «Le nuove inferenze biologiche tratte da questo studio rappresentano un salto nella nostra conoscenza di questo singolare super predatore e aiutano a comprendere meglio la funzione ecologica che le specie megafaunali svolgono negli ecosistemi marini e le conseguenze su larga scala della loro estinzione».
Fonti: Science Advances
Nella foto, di pubblico dominio, la ricostruzione delle fauci del Megalodonte, all’American Museum of Natural History – fonte: wikipedia
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