metro (del sapore del legno fra i denti)

metro (del sapore del legno fra i denti)le lacrime sono i sentimenti che si sciolgono

métro: ferrovia metropolitana

mètro: unità di lunghezza

strano come un accento, una piccola “virgola” messa lassù modifichi, per il vocabolario, il significato di una parola.

ma io non sono un vocabolario, faccio piazza pulita e prendo le mie distanze.

lentamente le ore attraversano i pensieri, e il tempo sbanda nella mente.

è il vuoto fra un’emozione e l’altra che rende totale la scissione dal corpo.

e tutto prende una sua misura.

centinaia di metri dividono la realtà dal baratro dei sotterranei metropolitani.

mi incammino per prendere la metro alla stazione termini ed è prima che le scale mobili mi portino sottoterra, che alla mia sinistra la coda dell’occhio è colpita da una pioggia di oleandri dietro ad una vetrata; e da lì, al “rimembro”, il passo è stato breve.

– andiamo sotto gli oleandri!

– no, non è possibile; non lo sai che di sera sono velenosi? 

era l’angolo più nascosto del cortile, fuori da qualsiasi “persiana umana”; i genitori ci tenevano d’occhio, ma sotto a quella cascata di piante, non potevano farlo. è lì che ci confidavamo tutti i nostri segreti adolescenziali; c’erano delle panchine di legno posizionate una di fronte all’altra. un vero e proprio salottino, ma la sera, oltre che calare il buio, scendevano nella mente anche le raccomandazione degli adulti.

ma sarà vero poi che sono velenosi?

gli oleandri non lo so, ma i ricordi sì.

e si apre il sipario 

non so il periodo esatto; credo sia stato un giorno qualunque, di una settimana qualunque, di un mese qualunque, e all’improvviso tutto è divenuto estraneo, come le persone che mi attraversano lo sguardo mentre mi faccio guidare da queste scale.

si muovono solo loro.

c’è una folata di aria calda che si incanala e, come ipnotizzati, la seguiamo.

la seguo cercando di rimanere attenta su una sola cosa: non confondere la linea a con la linea b che altrimenti mi ritrovo dall’altra parte di roma: io devo andare in centro.

il centro di ogni cosa, è il luogo degli spazi aperti; è quel limite, che non è un limite, ma una prevenzione che ti dà la possibilità, con i suoi trecentosessanta gradi, di difenderti.

non sto dicendo sciocchezze; tu prova, prova a girare su te stesso, e se non sei nel centro, urterai e ti farai male.

questo non vale solo per il corpo, ma anche per gli occhi; devi tenerli sempre bene aperti che altrimenti qualcuno te lo mette al culo senza che te ne accorgi.

modo volgarotto per dire che devi guardarti alle spalle, ma rende bene l’idea; qualcuno potrebbe scipparti; e non solo la borsa.

comunque me la tengo stretta mentre continuo a scendere; tre piani e l’aria sempre meno respirabile; anche gli sguardi sono sempre più assenti; nessuno si guarda in volto; tutti che corrono e mi scontrano come se non ci fossi, ma manca poco ed arrivo giusto in tempo per prenderla al volo.

si volava, su quelle panchine; la fantasia andava a mille:  

mi piace!

mi ha guardata!

gli piacerò?

mi amerà?

studierò e diverrò una pittrice

danzerò solo per lui  

schhh… zitte zitte, che stanno arrivando!

stringiamoci, così ci entriamo tutti… 

trovo posto e mi siedo; siamo tutti uno di fronte all’altro, ma nessuno parla; tutti a fissare il vuoto e lo sento moltiplicarsi dentro di me.

è la realtà che goffamente mi rende umana.

non conosco nessuno; e continuo a non voler conoscere nessuno.

sono aggrappata ad un seggiolino di formica.

accavallo le gambe e con loro i miei sogni, quasi a volerli tenere stretti; ora stringo anche i denti; e sento il sapore del legno.

“capire” non vuole dire necessariamente che tu sappia “accettare”; segui le parole e le trasformi in regole come fossero il filo di un discorso ma, se non vuoi ascoltarle, rimani sordo.

non ci sono più mezze misure.

sono rimasta sorda per troppo tempo.

e tutto è divenuto “qualunque”.

e ingoio una saliva dura, perché sento il tonfo della sconfitta nella gola.

e se ne va, con questi pensieri, un’altra parte di me. 

non basta aprire una finestra per far entrare l’aria che quando sei per strada non c’è nulla da aprire.

bisogna volerla; occorre sentirne il desiderio; e solo allora potrai dire: respiro.

e sottoterra, dentro questa metro, un giorno qualunque, di una settimana qualunque, di un mese qualunque, ho compreso ed ho seppellito l’ascia di guerra.

cala il sipario.

espiro.

apro gli occhi.

sì, grazie, scendo ad ottaviano.

di simonetta bumbi

foto: Stefano Cracco

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