Michele Placido: l’amore tra poesia e musica

Roma, 12 giugno – Il suo nome meritatamente figura tra i Soci Onorari del Circolo Canottieri Roma, accanto a quello di Sean Connery, di Nicola Pietrangeli, di Gian Piero Galeazzi ed altre illustri personalità del mondo dello sport e della cultura. Lui è Michele Placido e, in quel bel Circolo, alla presenza del Presidente Massimo Veneziano, del Consigliere Edmondo Mingione e di moltissimi Soci, ha dato vita ad un’emozionante fantasia di poesie in musica, affiancato dalla voce di Gianluigi Esposito e dalla chitarra di Antonio Saturlo.

Tra il pubblico, anche Masolino D’Amico, un altro Socio del Circolo, rappresentante a tutto tondo del mondo dorato delle parole, del senso delle parole e dello spettacolo.

Accade frequentemente al Circolo Canottieri Roma di avere il privilegio di un angolo d’arte e di cultura per i Soci ed i loro amici.

Ieri sera ho capito una cosa: il palcoscenico è una struttura importante ma non essenziale. In realtà, c’è palcoscenico ovunque ci si un artista in grado di far viaggiare il pubblico attraverso un testo, una poesia, una musica. L’arte ha ali grandi. E Michele Placido le sa usare. Vola alto. Bastano poche battute, quel suo divertente modo di mischiare vita e teatro.

Eccolo, dunque, padroneggiare la scena anche senza scena. Parla di sé, del suo amore per la poesia e per il teatro, un amore nato grazie ad un libro di tragedie greche della sorella. Parla della sua endemica distrazione, a scuola … un raggio di sole oltre il vetro della finestra, uno spiraglio di cielo … una distrazione che sarebbe meglio chiamare passione per la vita. La vita, spesso, è poesia. Parla del suo amore per Napoli: lui, foggiano di nascita, con un occhio sempre puntato al mondo partenopeo. Ed è proprio in quel mondo che incontra Antonio Saturlo e Gianluigi Esposito, con i quali nasce una bella amicizia ed un sodalizio artistico.

In scena, dunque, entrano le parole dei poeti, attraverso la voce di Placido, e le parole della canzone napoletana, in un divertente botta-e-risposta.

Protagonista è l’amore e, sullo sfondo, ovviamente, c’è Napoli.

Sono di Salvatore di Giacomo la prima poesia e la prima canzone: Pianoforte ‘e notte, interpretata anche dal grande Eduardo, ed Era di Maggio. Una degna introduzione a questa osmosi tra versi e musica: “Nu pianefforte ‘e notte sona lontanamente e ‘a museca se sente pe ll’aria suspira’”. Al Canottieri Roma non accade nulla di diverso: la musica sospira, respira, parla per tutta la sera. Saturlo ricama note sulla chitarra, Esposito, con la sua voce limpida e potente, regala spaccati di una Napoli che tutti conosciamo.

Il viaggio napoletano prosegue con una dedica a Massimo Troisi, artista straordinario, persona meravigliosa; maschera dell’uomo contemporaneo, con le sue fragilità, le sue fobie, il suo coraggio improvviso, la sua ironia. Ricordo quando venne a Roma per dare l’estremo saluto ad una cara amica comune. Affrontò il viaggio, ma poi non raggiunse la chiesa. Poche ore dopo se ne andò anche lui. E per tutti noi il lutto raddoppiò.

Troisi era un Pierrot con dentro il mare di Napoli reso diamantino dai raggi del sole. Simpatia e solitudine, risata e pianto, c’era tanta verità nel dualismo che lo avvolgeva, che avvolge ognuno di noi, a pensarci bene.

Amava la poesia, in particolare Ho dormito con te tutta la notte di Pablo Neruda, che esprime l’amore come incontro d’anime. È partendo dalle sue poesie che Troisi trasformò Neruda nel protagonista de Il Postino, dandogli la voce ed il corpo dell’immenso Philippe Noiret.

Michele Placido, quindi, recita Neruda come omaggio al grande Troisi.

“In alto, come i rami che muove uno stesso vento, in basso come rosse radici che si toccano”. Sembrano solo parole, semplici parole, ma nella voce di Placido, nel suo mirabile viaggio sulle ali della tonalità e dell’espressione, prendono vita e diventano i vertiginosi salti del sogno descritto da Neruda.  Emozione.

La canzone con cui Esposito e Saturlo “rispondono” a Neruda è O’ Marinariello: “Vicino ‘o mare facimmo ‘ammore, a core a core”. Cantiamo tutti, lo confesso.

L’amore non è solo vaghezza e passione, però.

Natale Polti, poeta romanesco dell’Ottocento, scrisse L’uccelletto in chiesa,poesia ironica e piccante, spesso attribuita a Trilussa. Con i suoi versi l’amore diventa irriverente: un parroco maldestro, senza volere, attiva una serie di fraintendimenti.

La risposta musicale napoletana può essere solo una: La pansé.

Ma c’è dell’altro, in questa parola desiderata, sospirata, usata ed abusata, mai dimenticata.

Amore.

È amore anche la carnalità dei sapori, la vita da mordere. Si dice che la via per il cuore di un uomo passi per lo stomaco. Secondo Guido Gozzano anche il cuore delle donne si trova in fondo a quella stessa strada. L’amore per il cibo. Ah, quanto lo capisco! Ne Le golose Gozzano racconta, con la sua bella musicalità crepuscolare, l’amore delle donne per le paste, il loro tornare bambine nelle confetterie, e il fascino che in tal modo trasmettono; vorrebbe baciarle, il poeta, le bocche di quelle eterne bambine golose. In questa poesia le donne amano i dolci e Gozzano ama le donne che amano i dolci: forse l’amor che nullo amato amar perdona, passa anche attraverso la crema e il cioccolato.

Ma cosa sarebbero le paste senza una Tazza ‘e cafè? Uno dei cavalli di battaglia di Roberto Murolo, torna a vivere con Esposito e Saturlo nel coro di tutto il pubblico.

E l’amore torna ancora una volta a prendersi lo spazio, prepotentemente, a far battere il cuore. A volte è eterno; a volte è un incontro d’anime. Lo so bene: sono cresciuta accanto a due anime che si sono amate senza respiro.

Ebbene, Eugenio Montale e sua moglie Drusilla Tanzi hanno condiviso un sentimento intenso e meraviglioso, che il poeta ha descritto nei suoi versi.

Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale. Inizia così la quinta poesia della sezione Xenia II della raccolta Satura.

In questa poesia, Montale non pronuncia mai la parola amore, come osserva Michele Placido, ma non c’è sillaba che non trasudi quel sentimento.

Anni or sono, la sentì recitata dal suo maestro, Vittorio Gassman, che la dedicò alla madre, una dedica che fa propria. È la poesia della vita, quella dei passi malfermi di due anziani, degli occhi offuscati dalla cataratta, del tenersi saldi con le anime intrecciate. C’è tutto questo nella voce di Placido, nelle sue pause profonde, negli accenti, nella morbidezza delle parole pronunciate piano, in una piega di malinconia.

Ed è amore che non finisce anche quello raccontato in musica con Reginella: i protagonisti di questa canzone si sono voluti bene, si sono lasciati, ma, poi, c’è un pensiero distratto che sfugge. Difficile fermare i pensieri distratti

I pensieri.

Nei pensieri si addensa il mondo del possibile e dell’impossibile. Anche il cuore pensa. Sicuramente pensava quello di Gabriele D’Annunzio quando animò il suo gioco di seduzione in una pineta, sotto la pioggia. Credo che ogni donna che abbia familiarità con la poesia dannunziana non possa non pensare alle tamerici salmastre, quando piove, e sognare di trovarsi accanto ad un uomo che sia in grado di dirigere l’orchestra della natura per sedurla.

Sembra di sentire anche il profumo della terra bagnata, mentre Michele Placido recita La pioggia nel pineto; sembra di vedere le foglie muoversi sotto il ticchettio delle gocce che creano una sinfonia e rivelano i pensieri d’amore. È un crescendo costante: ritmo, passione, voluttà. La voce di Placido genera un’emozione indescrivibile.

Interpretazione perfetta. Meritata la standing ovation.

D’Annunzio porta Michele Placido verso un ricordo personale: fu un altro suo grande maestro, Giorgio Albertazzi, a condurlo al Vate. Lui pronuncia quel nome ed il pensiero di Albertazzi cattura tutti.

Chi, come me, ha avuto il privilegio di applaudire i grandi attori di prosa del passato, ha sempre una punta di dolore nel pensare che l’eterno Albertazzi non stia più calcando le scene. Il palcoscenico era la sua vita. Me lo disse lui stesso, dopo un meraviglioso Mercante di Venezia messo in scena al teatro Ghione di Roma, l’anno prima di morire..

Michele Placido fa il suo nome con voce emozionata e annuncia che ad Albertazzi dedicherà il suo prossimo appuntamento con il teatro: Le memorie di Adriano della Yourcenar. Non vedo l’ora di andarlo ad applaudire.

Siamo giunti al termine della serata, purtroppo. Quando ci si nutre d’arte, il tempo dovrebbe fermarsi, ma è dispettoso, irriverente e non la fa mai.

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