Miseria e nobiltà

videooperatriceL’ondata migratoria che ha investito l’Europa sta mettendo in luce miseria e nobiltà di singoli individui, istituzioni e intere collettività. Gli episodi che vanno in una direzione o nell’altra sono molteplici e svariati e la stampa ha il compito di raccontarli e di farlo con obiettività. Principio sacrosanto, per chi lavora nell’informazione.

Le immagini poco edificanti della video-operatrice ungherese che prende a calci dei bambini e fa lo sgambetto a un padre col figlio in braccio (foto) hanno dell’incredibile. Si dirà, è un caso isolato. Altri lo sono meno. Il governo ungherese non sta facendo una bella figura costruendo muri, bloccando i profughi per ore dentro e fuori delle stazioni, non permettendo loro di prendere un treno o un autobus per continuare il viaggio verso l’Austria.

Siccome i siriani, gli iracheni e gli afgani che arrivano in Ungheria in questo paese non vogliono rimanerci, dietro questo comportamento c’è certamente un secondo fine. Quello ad esempio di strumentalizzare il fenomeno migratorio per mettersi al centro dell’attenzione internazionale, forse per chiedere e ottenere maggiori aiuti o per ricattare gli altri partner europei in fase negoziale. Se i profughi li avessero fatti passare, nessuno se ne sarebbe accorto e dell’Ungheria si parlerebbe poco o niente.

La video-operatrice ha però esagerato. Con calci e sgambetti ha provocato un danno d’immagine all’Ungheria e, indirettamente, persino al governo. I suoi gesti sono stati sanzionati con il licenziamento, ma ciò non basterà a risparmiare la gogna mediatica che si abbatterà sull’intero paese.

L’Ungheria non è l’unico paese che si sta facendo notare per comportamenti vergognosi, offensivi della dignità umana. Recentemente un parlamentare europeo, italiano appartenente alla Lega Nord, ha affermato che il filo spinato contro i clandestini dovrebbe essere elettrificato, come si fa per delimitare il terreno davanti ai porcili. Di questo connazionale, come della video-operatrice ungherese, non faremo il nome.

A fronte di atti e comportamenti che suscitano indignazione e alimentano l’isolamento di singole persone o di nazioni intere, ce ne sono altri che suscitano plauso e lodi. È il caso della Germania. Nonostante non manchino i casi di proteste e reazioni di rifiuto verso i migranti, gran parte della popolazione sta dimostrando grande tolleranza e senso di solidarietà. Certo, l’economia tedesca va bene ed è più forte di quella ungherese e anche italiana. La questione però non è soltanto economica, ma culturale. E la cultura di un paese affonda le sue radici nella storia.

I tedeschi stanno dimostrando di aver imparato dal proprio passato e dai propri errori. Ora vogliono liberarsi definitivamente del pesante fardello, quello dell’olocausto, che la storia ha caricato sulle spalle di intere generazioni. Di quelle che hanno vissuto l’orrore e che lo hanno reso possibile con il loro consenso silente, ma anche di quelle più giovani, che quel fardello hanno ereditato e subito contro la propria volontà. L’ondata di profughi ha aperto uno squarcio di luce sulla identità dei tedeschi e ne ha illuminato la parte migliore, offrendo l’opportunità di dire “basta, siamo cambiati” e di dirlo al mondo intero.

I tedeschi sono cambiati e sono orgogliosi del cambiamento, dei buoni valori e dei sani principi della cultura tedesca. Dunque che ben vengano i profughi: saranno accolti. Se anche questa possa configurarsi come una strumentalizzazione al pari, ancorché di segno opposto, di quella degli ungheresi, non è facile dirlo. Ma che ci sia un’autentica voglia di riscatto e che essa si sia concretizzata in un sentimento sincero e condiviso di disponibilità all’accoglienza, questo è innegabile. Lo si vede soprattutto nelle città con alto tasso di cittadini stranieri.

Come Monaco, con il 25% di stranieri, un terzo dei quali musulmani. Dove nelle ultime settimane c’è stata una gara di solidarietà mai vista in passato. Speriamo Monaco faccia scuola e rappresenti un esempio di generosità e nobiltà d’animo per città, Länder e nazioni meno tolleranti.

Post Scriptum

Qualche sera fa, era l’8 settembre, ero sul treno per Monaco, il lettore mi perdoni se scrivo in prima persona. A Verona sono saliti numerosi migranti, soprattutto eritrei, ma anche siriani. Saranno stati un centinaio in tutto, tra loro anche famiglie, donne e bambini. Nel mio scompartimento ero solo e hanno preso posto 4 giovanissimi eritrei. Abbiamo parlato fin da subito. Due di loro parlavano un terribile inglese e volentieri hanno risposto alle mie domande e hanno raccontato le loro esperienze.

In sintesi. La fuga dalla dittatura sanguinaria e dal servizio militare obbligatorio e a tempo indeterminato. Il viaggio attraverso l’Etiopia e il Sudan fino alla Libia. I tre mesi trascorsi aspettando che si raggiungesse il numero sufficiente per riempire i barconi. E poi la traversata, con due barconi colmi di 500 e 650 persone. Intercettati dalla marina italiana, recuperati, portati a Messina e a Crotone. Con dei pullman trasportati a Roma. Poi a Milano. Da qui avevano raggiunto Verona.

Al Brennero nessun controllo. Idem alla stazione di Kufstein, confine tra Austria e Germania. E dire che solo un mese fa controlli e respingimenti erano all’ordine del giorno. A Monaco una cinquantina di poliziotti ad attendere. E i sorrisi dei monacensi. Pochi, perché era già tardi. Li hanno portati in un centro di prima accoglienza.
Poco prima di arrivare a Monaco ai miei quattro compagni di viaggio ho chiesto se avevano fame. Domanda retorica. Gli ho dato del pane e dei pomodori e li ho fatti felici.

Quei pomodori venivano da Foggia. Erano stati distribuiti al pubblico a margine di una manifestazione sul caporalato. Erano frutto del lavoro, duro e nero, di braccianti agricoli sfruttati e schiavizzati. Anche loro immigrati, anche loro africani.
Paradosso della globalizzazione, singolare e cinico.

di Pasquale Episcopo

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