Mondo che cambia, cosa è successo in Africa e in Sudamerica nell’ultimo trentennio

Il Mondo che cambia. Concludiamo la nostra inchiesta su come sia mutato il mondo dalla caduta del muro di Berlino a oggi, dando uno sguardo all’Africa e al Sudamerica. Per quanto riguarda l’Africa, l’evento politicamente più importante è stata la fine dell’Apertheid. Stiamo parlando della segregazione razziale, prevista costituzionalmente in Sudafrica. Solo nel 1990 ha avuto termine. In base ad essa la maggioranza nera della popolazione era costretta a vivere separata dalla minoranza bianca. Anche per quanto riguarda l’uso di mezzi e strutture pubbliche.

Chiaramente, ai bianchi era riservata la direzione politica del paese. Solo dopo alcuni decenni di lotte e l’isolamento del paese da parte della comunità mondiale, l’apartheid ha avuto fine. Da allora, in Sudafrica, i neri hanno potuto accedere alle massime cariche politiche. Le leve più importanti dello sviluppo economico, tuttavia, sono ancora in mano ai bianchi.

Il resto dell’Africa ha ancora problemi geopoliticamente differenti, a seconda che si tratti della parte sahariana o subsahariana. La prima è culturalmente islamica; la seconda animista, con forti influenze cristiane, dovuta alle missioni. Dal punto di vista economico, preoccupa l’espansione dell’area desertica sahariana, dovuta al riscaldamento del clima mondiale, dal 1950 ad oggi. Ciò produce periodiche carestie, aggravando il problema della fame nella fascia limitrofa, con tutte le conseguenze sotto il profilo migratorio.

L’emancipazione della donna africana potrebbe essere il vero segnale del Mondo che cambia

Per tale motivo, dal 2005 a oggi, l’Unione Africana ha progettato ed avviato la realizzazione di una grande muraglia verde che possa fermare la desertificazione. L’iniziativa prevede la creazione di un vasto sistema di paesaggi produttivi verdi ai confini del deserto. Essa mira a rafforzare gli ecosistemi locali, gestendoli in maniera ponderata. Potrà proteggere il patrimonio rurale e migliorare le condizioni di vita della popolazione. 

Per il momento, la si sta realizzando seriamente soprattutto in Etiopia. Probabilmente è per tale motivo che questo Stato sta diventando una potenza regionale sia sul piano politico che economico. L’Etiopia è anche l’unico paese dell’Africa dove una donna riveste la carica di Capo dello Stato. Si tratta di Sahlework Zewde, eletta nel 2019. Un altro importante “segnale” di coinvolgimento politico della donna africana si sta avendo in Sudan. Qui, alcune donne hanno guidato la rivolta contro il sanguinario dittatore Al Bashiri.

Ciò potrebbe essere d’esempio per il riscatto del genere femminile nel continente. In Africa, infatti, la condizione femminile è ancora di sottomissione fisica e morale. La pratica della mutilazione genitale è tuttora diffusa in un’ampia fascia che va dalla Mauritania alla Tanzania, passando per tutta l’Africa sahariana e nordequatoriale, sino alla stessa Etiopia. Ciò dimostra che la cultura dei diritti umani è ancora fortemente arretrata.

Anche l’Africa sarà un unico grande mercato

Più che dal punto di vista dell’emancipazione della donna, in Africa i segnali del Mondo che cambia si notano sotto il profilo economico. In particolare, nell’ambito del processo di emancipazione dal colonialismo. Sino all’anno scorso, la Francia garantiva la stabilità della moneta di 14 Stati africani, tutti ex colonie. In cambio chiedeva ad essi di versare una quota del proprio già esiguo Pil. Da quest’anno, otto di queste ex-colonie adotteranno una moneta propria unica, insieme ad altri Stati, per un mercato di 385 mln di africani. Si pensi che la nostra Eurozona conta soltanto 343 mln abitanti.

L’anno scorso sono state definite le modalità di attuazione dell’ Afcfta (Area di libero scambio continentale africana), comprendente tutti e 54 gli Stati africani, tranne l’Eritrea. Un’enorme area con un Pil di oltre 2500 miliardi di dollari e 1,2 miliardi di consumatori. Oltre all’Etiopia e al Sudafrica, di cui abbiamo già parlato, protagonista di questo “rinascimento economico” sarà la Nigeria.

Lagos è già la prima economia dell’Africa con il 17% del Pil di tutto il continente. Con oltre 190 milioni di abitanti, contende al Brasile il quinto posto mondiale, in quanto a popolazione. Stiamo parlando tuttavia, di un’economia che è ancora al 26mo posto nella graduatoria mondiale, anche se all’11mo in termini di crescita lorda. Inoltre, il grosso problema politico della Nigeria, è il terrorismo della jihad islamica di Boko Haram, nel nord del paese.

Mondo che cambia, in Africa la Cina è subentrata alle potenze già colonizzatrici

Le difficoltà economiche del continente africano si evincono soprattutto dal punto di vista dell’acquisizione di finanziamenti a scopo produttivo. Anche in questo campo, tuttavia, emergono interessanti elementi. Ciò dimostra la progressiva emancipazione dell’Africa rispetto agli ex-colonizzatori europei o al gigante statunitense. Ad essi si è progressivamente sostituita la Cina. A tutto il 2019, la Cina ha concesso finanziamenti agli Stati africani per un totale di 143 mld dollari.

Sono pesantemente indebitati con la Cina: Zambia, Angola, Repubblica democratica del Congo, Mozambico, Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti. Diversamente dalle banche europee, i cinesi si “accontentano” di altro. In cambio del capitale di investimento chiedono che il paese indebitato concedi loro l’assunzione di una quota di proprietà nei progetti infrastrutturali o lo sfruttamento delle proprie risorse.

Nello Zambia, Pechino ha già acquisito il totale controllo dell’emittente radio-televisiva di stato, la proprietà della compagnia statale di energia elettrica e ha ipotecato l’aeroporto internazionale di Lusaka. Lo acquisirà definitivamente se lo Stato creditore non riuscirà a saldare il proprio debito. Stessa cosa ha fatto il Kenia, per quanto riguarda il porto di Lamu e Gibuti sullo strategico porto di Doraleh.

Il Madagascar ha impegnato a garanzia dei prestiti un’enorme porzione dei suoi terreni. Il Congo ha concesso allo Stato asiatico i diritti per estrarre fino a 10 milioni di tonnellate di rame e 420mila tonnellate di cobalto in 15 anni. Pechino ha già praticamente il controllo dell’economia di Gibuti, detenendo nel 2016, l’82% del suo debito estero.

Mondo che cambia. Uno sguardo al Sudamerica

Sino a tutti gli anni settanta del secolo scorso, non c’era uno Stato sudamericano non governato da una dittatura militare. Anche nell’America centrale la situazione non era poi tanto differente, se si eccettua il Messico, alcune mini repubbliche e la Cuba di Fidel Castro. Tranne quest’ultima, tutti gli Stati avevano un denominatore comune: il controllo politico ed economico degli Stati Uniti.

D’altronde, questa strategia è la Dottrina di Monroe, il Presidente in carica tra il 1817 al 1825. In altre parole: l’America agli Statunitensi. Per questo, quando i sovietici avevano iniziato l’istallazione di missili a Cuba abbiamo rischiato la Terza Guerra Mondiale. Da Monroe a Trump, passando per Kennedy, Nixon, Reagan, Clinton, Bush e Obama, nulla è cambiato.

Brasile, Argentina, Cile e Venezuela

Tutto ciò anche se le dittature militari sono quasi del tutto scomparse. Nel 1982 (Guerra delle Falkland) è caduto il regime dell’argentino Videla. Nel 1985 ci fu il ritorno della democrazia in Brasile. Nel 1989, il cileno Pinochet fu costretto a concedere elezioni. E così via. In molti Stati c’è stato un tentativo di presa del potere da parte delle forze populiste o genericamente di sinistra. Come in Argentina, da parte di Nestor e Cristina Kirchner o in Brasile, da parte di Inácio Lula.

Entrambi sono stati sostituiti da esponenti di destra o strettamente filo statunitensi come il brasiliano Bolsonaro. E’ ancora in corso in Venezuela l’esperimento socialpopulista di Maduro ma con forti difficoltà anche a livello internazionale. Insomma, in nessun’altro continente, come in Sudamerica, sembra essere valida la massima dell’autore del “Gattopardo”. Il mondo che cambia lo fa molto velocemente per poi ricomporsi esattamente come prima.

Fonte foto: Africarivista.it

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