Due giorni fa, nel campo profughi più grande d’Europa è scoppiato l’inferno. In un centro destinato ad ospitare 3.000 persone, vivono ammassate ben più di 12.000 migranti (secondo alcune stime circa 12.600), di cui 4.000 minori.
Moria è il cancro per antonomasia delle politiche migratorie. Da sempre una bomba ad orologeria, in questo lager neanche i bambini hanno più barlumi di speranza, piuttosto tentano il suicidio. Il primo incendio, divampato martedì notte, ha distrutto quasi completamente il campo; quel poco che era rimasto in piedi è stato spazzato via da un secondo rogo, la sera successiva. Ciò che resta continua a bruciare. Moria non c’è più; risultato di anni di becere e sconsiderate politiche di contenimento.
Un lockdown nel lockdown
Le cause sono ancora da chiarire, ma diverse fonti sul campo dicono si tratti di incendi dolosi, appiccati dai residenti del centro, in seguito a degli scontri interni e in segno di protesta. Incendiare il proprio riparo può essere l’unico modo per attirare l’attenzione dei potenti, ebbene sì.
Le tensioni a Moria sono aumentate terribilmente negli ultimi mesi. Con l’apertura della stagione turistica, la Grecia ha registrato numerosi casi di contagi da covid-19. L’isola di Lesbo ha avuto più di 160 casi solo tra agosto e settembre, circa 45 sono i casi accertati nell’ultima settimana tra i rifugiati di Moria. In seguito all’isolamento dei contagiati che vivevano all’interno del centro, l’intero hotspot è stato messo in lockdown.
Varie ONG presenti sull’isola spiegano come la pandemia sia stata strumentalizzata dal governo, per poter giustificare la reclusione dei profughi all’interno degli stessi centri dal mese di marzo – trattamento riservato esclusivamente a queste strutture nel territorio greco – imponendo un confinamento di mesi ed esasperando definitivamente chi già da tempo è ormai al capolinea.
La maggior parte di coloro che si trovavano a Moria proviene da zone di conflitto come l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq – testimonia Save the Children. Sono rifugiati da una vita, in cerca di una sicurezza e costretti a vivere una prigionia nella prigionia, in spazi claustrofobici (circa 3,5 mq a testa), con servizi igienici pressoché inesistenti. Uomini, donne e bambini esposti a intemperie, violenze, abusi di ogni genere.
Notizia ai margini
I TG parlano marginalmente della devastazione che si è consumata a Lesbo, come fosse una pubblicità, una breve interruzione del servizio d’informazione. Forse saranno presto costretti a dedicare al tema più attenzione e tempo, perché è questa probabilmente l’ultima occasione per l’Europa di intervenire nel rispetto dei diritti umani. Non si può rimandare oltre.
Non si tratta solo di questo tuttavia. La retorica sui migranti è una predica sull’invasione. Da un lato si estremizza la compassione per il povero ramingo, proveniente da chissà quale misera terra, che non sa, che ignora; dall’altro si brutalizzano quelle che sono prima di tutto persone, minori, anziani, disabili che essi siano, raffigurandole come incapaci e pericolose, parassiti senza arte né parte. E’ necessario cambiare paradigma, è utile parlarne; le vite umane sono affar nostro, non possono rimanere esclusivamente un dibattito in seno alla politica.
Il processo di redistribuzione dei minori migranti è molto lento, tuttavia sembra essere partito, anche a seguito delle numerose campagne di sensibilizzazione e petizioni, avvenute in varie zone della Grecia, grazie al prezioso lavoro di alcune organizzazioni indipendenti che vi operano, prima tra queste Still I Rise. Moria non è l’unica vergogna europea. Essendo il nostro scudo contro i flussi migratori, la Grecia e molte sue isole – con esse i propri abitanti – subiscono da anni le disumanizzanti scelte politiche dell’Unione Europa, incapace di gestire quello che è un cronico dramma umano. La Grecia, così come la Turchia, è lo scaricabarile della nostra indifferenza.
“Dopo l’incendio, i profughi continuano a dormire per strada. Nonostante 406 minori non accompagnati siano stati trasferiti in strutture protette a Salonicco, ci sono tanti minori che con le loro famiglie sono costretti a dormire in cimiteri e bidoni della spazzatura”, dichiara Stay Human Odv.
Il piano dell’UE?
A livello europeo è in discussione il nuovo migration pact – i cui lavori sono stati rallentati dalla pandemia ancora in atto – che dovrebbe ridefinire le politiche europee in materia di migrazione e accoglienza. Al di là di un ampio e ancora nebbioso abbozzo, poco si sa con certezza sui contenuti del patto.
In cima alla lista delle priorità vi dovrebbero essere il rafforzamento delle frontiere esterne del blocco e la riforma del regolamento di Dublino, il quale a tutt’oggi impone di presentare richiesta asilo nel primo paese dell’UE in i migranti fanno il loro ingresso. Molti spingono per l’abolizione del trattato, optando per un lavoro basato su un sistema di quote, quindi di automatico ricollocamento dei migranti, in base a criteri che tengano conto di numero di abitanti nel paese ospitante, legami familiari dei richiedenti asilo, etc.
La proposta prevede altresì un focus sui partenariati con i paesi terzi, un maggior numero di percorsi legali per la migrazione, regole chiare per il rimpatrio nei propri paesi d’origine di coloro che non hanno diritto all’asilo, il reinsediamento dei rifugiati verso altri paesi, un approccio sostenibile e lungimirante in termini di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.
Nella foto, migranti in fuga da Moria. Fonte: vaticannews.va
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