I “grandi” della finanza sono riuniti in questi giorni a Mosca per il G20 e durante un’intervista alla Blomberg tv di Mosca, Saccomanni “il pupillo” di Draghi ha proposto la sua singolare ricetta per evitare gli effetti “collaterali” dell’economia globale.
La proposta shok del nostro ministro dell’economia è quella di svendere i gioielli di casa, (tra cui Eni, Enel e Finmeccanica) da inserire nel pacchetto “veicolo” che mette in garanzia dall’indebitamento.
Insomma non solo si metterebbero sul mercato i beni immobiliari del demanio, cosa già iniziata da Monti, ma anche le quote di partecipazione nelle tre grandi imprese italiane.
Quello che non tutti sanno è che il debito di cui si parla è quello a tasso “usuraio” delle banche d’affari internazionali che hanno, con molta nonchalance e la connivenza della Bce, rastrellato l’indebitamento a garanzia dei loro prestiti.
Utile spiegarne la dinamica:
Il governo cerca di valorizzare alcuni asset pubblici fino a renderli ” profittevoli”, poi i ” dividendi” vengono dati in pegno per pagare gli interessi sugli interessi vantati dalle varie agenzie di rating quali Goldman & Sachs o Morgan Stanley.
Questo perchè in un paese fortemente deindustrializzato essi generano ancora grossi dividendi per lo Stato. Precisiamo che il flusso di dividendi rappresenta un’ottima base per emettere titoli e finanziarsi sui mercati a tassi bassissimi.
Questa chiave di lettura inoltre ci consente di capire perchè lo Stato non interviene nei confronti di alcune società responsabili di forti devastazioni ambientali , o se colpevoli di grossi reati di corruzione (basti pensare allo scandalo Saipem in Algeria o gli scandali legati all’Eni) .
Tale soluzione piace tantissimo ai finanzieri del G20, soprattutto sulle questioni che riguardano l’evasione e l’elusione fiscale, resa possibile grazie all’erosione della base imponibile o lo spostamento dei profitti da parte delle grosse multinazionali ( Apple in Inghilterra non ha pagato le tasse per l’anno 2012).
Questo perchè le aziende di consulenza fiscale hanno sviluppato degli ingegnosi sistemi per spostare legalmente i profitti nei paesi definiti in gergo “paradisi fiscali”.
Uno dei sistemi più semplici per fare ciò è quello di ricavare profitto dal branding, ovvero non dalla vendita di prodotti concreti, ma da quella sulla proprietà dei marchi e dei brevetti.
Se a livello morale ci troviamo davanti a situazioni a dir poco imbarazzanti, dal punto di vista legale a dire il vero non esistono veti: basti pensare che l’Ocse non ha mai raccomandato l’obbligo di una dichiarazione pubblica , da parte delle multinazionali, dei propri redditi, profitti e tasse pagate in ogni singolo paese.
A conti fatte appare chiaro che nessuno è interessato ne a fermare il debito, ne tantomeno a contenere il fenomeno dell’usura, anche perchè essa è garantita dalle uniche aziende “traino” dell’economia nazionale.
di Simona Mazza
foto: ilmattino.it
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