Napoli Poggioreale, visto da Fabrizio De André

Poggioreale è un ampio quartiere della zona orientale di Napoli con oltre 25 mila abitanti. In questa area, nel 1914, venne edificato il “nuovo” carcere (di recente intitolato al suo vicedirettore, il Dott. Giuseppe Salvia, assassinato dalla camorra nel 1981). I lavori per la costruzione dell’attuale Casa Circondariale (all’epoca Carcere giudiziario), ebbero inizio nel 1905 per far fronte al sempre crescente sovraffollamento delle carceri che in quell’epoca erano in funzione a Napoli: Vicaria (già Castel Capuano), carcere del Carmine e del Forte di Vigliena.

La nuova imponente struttura carceraria venne costruita ad oriente della città a seguito di un progetto già avviato in epoca borbonica, in un luogo malsano e paludoso che, per questo motivo, non era considerato dal piano urbanistico del XVI secolo come zona di sviluppo della città. La zona ospitava la Real Villa di Poggioreale: ideale dimora di caccia nobiliare per la presenza di uccelli migratori che ben si adattavano al territorio a metà tra il palustre e l’agricolo. Una bonifica del territorio, già intrapresa tra il 1830 ed il 1844 con la creazione della Stazione Centrale, venne completata solo dopo il 1884, a seguito del colera che colpì Napoli.

Il nuovo carcere giudiziario venne naturalmente inglobato nello sviluppo urbano della zona orientale della città nei primi decenni del XX secolo con la nascita dei grandi mercati, del cimitero e – verso il mare – con lo sviluppo dei grandi bacini navali, della raffineria, dei depositi ferroviari, delle ferrovie vesuviane e della dogana portuale.

Il carcere di Poggioreale occupa una superficie di 67.000 metri quadrati; la struttura è composta da otto corpi centrali – padiglioni – intersecati ora da un lungo corridoio di raccordo. Nel 1998 è stata realizzato un tunnel di collegamento tra l’Istituto ed il nuovo Palazzo di Giustizia, lungo ben 900 metri.

La canzone “Don Raffaè” nasce dalla collaborazione di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo, e con Mauro Pagani per la scrittura della musica. La canzone, insolitamente in dialetto napoletano, è una denuncia della situazione carceraria italiana negli anni ottanta e della inerme impotenza dello Stato al potere delle grandi organizzazioni criminali; e racconta la “vita” lavorativa di Pasquale Cafiero, un immaginario brigadiere della Polizia Penitenziaria in servizio proprio presso il carcere di Poggioreale. Un agente che, nel racconto della canzone, risulta essere totalmente asservito ad un boss camorrista recluso in una cella del “braccio speciale” della struttura carceraria: il don Raffaè del titolo.

Secondo quanto riporta Mario Luzzato Fegiz (Quellʹultima telefonata, in Corriere della Sera, 12 gennaio 1999), De André avrebbe affermato che «la canzone alludeva a don Raffaele Cutolo» , boss della “Nuova Camorra Organizzata”, sebbene né lo stesso De André né il coautore Massimo Bubola disponessero «di notizie di prima mano sulla sua detenzione». Sembra che lo stesso Cutolo, rimasto detenuto nel carcere di Poggioreale fino al 1980 (poi trasferito al carcere di Marino del Tronto – Ascoli Piceno), rimase entusiasta della canzone tanto da ringraziare più volte il cantautore genovese in diverse lettere con le quali chiedeva come fosse a conoscenza dei dettagli della vita in carcere (Silvia Sanna, Fabrizio De André. Storie, memorie ed echi letterari, Effepi Libri, 2009, pagg. 67 e 68). Sempre secondo Luzzato Fegiz, De André avrebbe risposto alle lettere di Cutolo per ringraziarlo, evitando – però – di continuare la corrispondenza con il boss e lasciandolo libero di pensare se la canzone fosse dedicata a lui o meno.

(Don Raffaè, di F. De Andrè, M. Bubola, M. Pagani, interprete F. De Andrè, 1990, Album “Le nuvole”, Fonit Cetra)

Foto di Enda McLarnon da Pixabay – (L’immagine non rappresenta la Casa Circondariale Napoli Poggioreale)

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