Secondo un’antica tradizione cristiana, la giornata odierna è denominata “Domenica in Albis”. Oggi, infatti, ottavo giorno dopo Pasqua, coloro che nella veglia pasquale avevano ricevuto il primo Sacramento dell’iniziazione cristiana, deponevano la tradizionale veste bianca che veniva consegnata loro al momento del Battesimo. La veste che si deponeva, immagine della luce e della grazia di Dio, impegnava i battezzati a custodire gelosamente e a condividere con i fratelli nell’ordinarietà della vita la gioia e la rinascita ricevuta in quel giorno solenne.
Giovanni Paolo II, non molto tempo fa, stabilì che in questa domenica fosse celebrata solennemente la festa della Divina Misericordia perché proprio nella misericordia egli riassumeva, interpretandolo in modo nuovo e più consono al linguaggio dei nostri tempi, il grande mistero della Redenzione. Nella misericordia, infatti, si esprime la vera natura di Dio, ma anche la sua santità, la sua verità e il suo amore. La grazia che Dio ci dona nel Battesimo, inoltre, si chiama proprio misericordia ed essa è inesauribile ed infinita. Non lasciamo che questa grazia si indebolisca o che a causa del nostro peccato sia violata; al contrario, essa cresca ogni giorno nel nostro cuore per recare ovunque con gioia il lieto annuncio della Risurrezione di Cristo.
La prima lettura (At 5, 12-16) narra che agli inizi della Chiesa i malati venivano trasportati nelle piazze perché nel momento in cui passava Pietro, la sua ombra li guarisse. Il potere taumaturgico del pescatore di Galilea, espressione concreta della bontà divina, scaturiva soltanto dalla grazia di Dio. Pietro, si sa, era un essere umano e, perciò, debole e fragile; tuttavia, era dotato di una fede appassionata e piena di amore per Gesù Cristo. La forza risanatrice di Gesù giunge fino a noi tramite la fede di Pietro; essa si rende tangibile soprattutto nei Sacramenti, lo spazio privilegiato questo, in cui Cristo-Dio diventa il mio grande amico: Egli, infatti, pone la sua mano su di me e so che non mi abbandonerà mai.
L’amicizia di Gesù non è come quella che si instaura tra gli uomini: la sua amicizia è un dono inestimabile che ci abilita a chiedere e a dare il perdono; essa, inoltre, solleva la debolezza dell’uomo, ci educa a diventare uomini nuovi ed infonde nei credenti la consapevolezza di amarlo e di ricambiare questo amore rimanendo fedeli alla sua Parola. La pagina del Vangelo di questa Domenica (Gv 20,19-31), divenuta nel tempo un classico della letteratura cristiana, è ricca di misericordia e di bontà divina. Dopo la sua Risurrezione, Gesù non ha abbandonato i suoi cari alla disperazione ma li ha visitati varcando misteriosamente a porte chiuse l’ingresso del Cenacolo. Sant’Agostino spiega questo evento utilizzando una metafora molto eloquente: “Colui che nascendo aveva lasciata intatta la verginità della madre poté entrare anche nel cenacolo a porte chiuse”. Non parliamo di un fantasma ma di un vero corpo, incorrotto e glorificato. Affinché Tommaso possa credere che Gesù è davvero vivo là in mezzo a loro, gli viene concesso di toccare anche i segni della Passione; otto giorni dopo la Risurrezione di Gesù, l’Apostolo che solo prima era incredulo, confessa in quel momento l’umanità di Gesù ed esclamando “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28) gli riconosce soprattutto la peculiarità della sua identità divina.
Per brevi cenni ora, poniamo la nostra attenzione sulle ferite del corpo glorioso di Gesù. Egli le ha trasportate nella dimensione dell’eternità; possiamo affermare che il Cristo è un Dio ferito dall’amore che nutre verso ciascuno di noi e ancora oggi Egli si lascia ferire nuovamente per noi. Come Tommaso, vorremmo toccare anche noi, nella storia del nostro tempo, le nuove ferite che si infliggono a Gesù mediante i nostri peccati! Il fatto che Egli si lasci ferire dall’amore per l’uomo costituisce per noi il dovere di lasciarci ferire per Lui! “Gustate e vedete come è buono il Signore” (Sal 33) e la misericordia del Signore ci guida ogni giorno: per percepirla occorre un cuore vigile e, a volte, invece, badiamo troppo alla fatica quotidiana che ci siamo imposti da noi stessi a causa del peccato di Adamo. Ma se apriremo generosamente il cuore riusciremo a sperimentare come Dio sia paziente con noi e come Egli ci pensi e ci aiuti soprattutto nei momenti di difficoltà. Se dubitiamo dell’amore del Signore, allora siamo troppo legati alle cose della terra.
Carissimi, Cristo è risorto, non è rimasto nel sepolcro e la sua visita ai discepoli non è circoscritta soltanto al luogo del Cenacolo ma va oltre, affinché ogni uomo possa ricevere attraverso lo Spirito Santo il dono della pace e della vita. Infatti, per due volte Gesù disse ai discepoli: “Pace a voi!” ed aggiunge: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È questa la prima missione della Chiesa, sostenuta continuamente dalla forza dello Spirito: portare il lieto annuncio fino ai confini della terra e far conoscere a tutti la misericordia di Dio, “perché – come dice Giovanni – crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché credendo, abbiate la vita nel suo nome” (20,31). Alla luce di questa parola, incoraggiamoci a vicenda perché solo trasformando il cuore possiamo comunicare agli altri la misericordia di Dio; solo così sperimenteremo la vicinanza concreta di Colui che i nostri occhi umani certamente non hanno visto e non vedono; della sua misericordia, tuttavia, l’uomo ha assoluta certezza. A Maria affidiamo la Chiesa, chiediamoLe di sostenere la nostra missione mentre la invochiamo esultanti per la Risurrezione di Cristo. Amen.
di Fra’ Frisina
Nella foto “L’opera della Misericordia di Dio in un’anima”, dipinto di Emanuela Mari Casini: ministridimisericordia.org
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