Nella vicenda della Sea Watch 3 la posta in gioco è lo Stato di diritto in Italia

Sea Watch 3. Con l’approdo di stanotte e l’arresto del capitano della nave, la tedesca Carola Rackete, è finita una fase e se n’è aperta un’altra che vedrà la legge e il diritto svolgere un ruolo di primo piano. Il dibattito continuerà ancora nella politica, nei media e nella società, ma saranno le aule di tribunale a dire l’ultima parola. Sarà nelle aule di tribunale che verranno applicate le norme del cosiddetto Decreto sicurezza bis voluto dal ministro Salvini, in particolare le norme che intimano alle navi ong di non entrare nelle acque territoriali italiane e le multano pesantemente se lo fanno. I dibattimenti dureranno mesi e c’è da attendersi che verranno esaminati anche aspetti legati alla compatibilità del decreto  con le norme sancite dalla carta costituzionale e dalle convenzioni internazionali. Ovvero dallo Stato di diritto. Peraltro, già prima di essere approvato il testo iniziale del decreto era stato sottoposto a modifiche, dopo che Sergio Mattarella aveva fatto cancellare la norma che prevedeva multe fino a 5000 euro per ogni migrante salvato. 

In attesa di vedere come si svilupperà il dibattito dentro e fuori le aule di tribunale, vediamo quali sono le questioni che probabilmente ne influenzeranno l’evoluzione. In primis, c’è quella relativa al precedente rappresentato dal caso della nave della Guardia costiera italiana Ubaldo Diciotti. Questa nave la scorsa estate aveva salvato 177 migranti al largo di Malta. Dopo il salvataggio Salvini aveva negato l’autorizzazione allo sbarco e la nave era rimasta ormeggiata per giorni nel porto di Catania. Dopo che la procura dispose lo sbarco, nei confronti di Salvini fu avviata una indagine per sequestro di persona. A gennaio il Tribunale dei ministri chiese l’autorizzazione a procedere che tuttavia fu negata dal parlamento italiano (il M5S sostenne Salvini che aveva chiesto accoratamente l’aiuto degli alleati di governo). A circa 10 mesi dalla vicenda della Diciotti, è lecito chiedersi se la legge, ovvero il diritto, siano stati scavalcati per interessi politici. Se il processo a Salvini fosse stato autorizzato avremmo assistito a una grande espressione di democrazia e la situazione odierna sarebbe diversa. 

Una seconda questione è quella rappresentata dal rifiuto della Corte europea per i Diritti Umani di accettare il ricorso, avanzato da Carola Rackete e da una quarantina di migranti, contro il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane e di sbarco contenuto nel decreto sicurezza. Con quel rifiuto la Corte europea, pur avendo respinto il ricorso, ha comunque “indicato al governo italiano che conta sulle autorità del Paese affinché continuino a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute che si trovano a bordo della nave”. Dunque più che di un rifiuto sostanziale si è trattato di un rifiuto formale, probabilmente dettato dalla volontà di evitare ingerenze nella giurisdizione di uno Stato sovrano. Ed è un rifiuto che ha rilanciato senza mezzi termini la palla al “governo italiano” e cioè al ministro Salvini, il quale lo ha commentato dicendo che i porti sarebbero rimasti chiusi anche nel caso la corte di Strasburgo avesse accettato il ricorso. Dopo due settimane di attesa Carola Rackete avrebbe potuto navigare verso Malta, o verso la Francia o la Spagna. Ma il porto sicuro più vicino era Lampedusa ed è lì che il capitano della Sea Watch 3 ha deciso di attraccare nonostante il blocco delle navi militari italiane. 

Una terza questione sarà quella rappresentata dell’esposto alla procura di Agrigento avanzato dagli avvocati della ong Sea Watch. Questo esposto darà vita a un’indagine parallela che dovrà chiarire la legittimità, a fronte delle norme delle convenzioni internazionali, del divieto di entrare nelle acque territoriali e dello stesso Decreto sicurezza bis. Naturalmente le questioni suddette non esauriscono la complessa materia che dovrà essere oggetto di esame se si vorrà garantire il corretto percorso della giustizia. Ciò dipenderà anche da quanto magistratura e potere politico rispetteranno l’autonomia e l’indipendenza delle proprie sfere d’azione, cosa peraltro di questi tempi tutt’altro che scontata. 

Probabilmente la vicenda della Sea Watch 3 metterà fine ai salvataggi delle navi ong nel Canale di Sicilia. I tentativi dei migranti di attraversare il mediterraneo tuttavia non cesseranno. Nè, tanto meno, le morti. Aver infranto il Decreto sicurezza bis a Carola Rackete costerà caro. Ora rischia da 3 a 10 anni di reclusione, forse anche più. Lo scontro, impari, tra il ministro dell’Interno e il capitano della Sea Watch 3 è apparso come una riedizione, in chiave moderna, del duello tra Davide e Golia. Per il momento la perdente sembrerebbe essere Carola Rackete, la “sbruffoncella che fa politica sulla pelle degli immigrati” come l’ha definita il ministro. Evidentemente quella di fare politica sui migranti è una prerogativa soltanto sua. Sul piano morale e politico la faccenda potrebbe comportare un prezzo da pagare ben più elevato e a pagarlo potrebbero essere tutti gli italiani e la democrazia di questo paese.  

Nella foto, Carola Rackete

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