Con il giuramento del governo Conte – oggi alle ore 16.00, nelle mani del Presidente della Repubblica – si conclude la crisi più lunga e più travagliata per la formazione di un governo di inizio legislatura della storia della Repubblica italiana. E’ stata una crisi che ha avuto toni convulsi, in troppi casi fuori dalle righe ma per la quale, non essendo uscita alcuna maggioranza dalle urne, a seguito del voto del 4 marzo scorso, la formazione del nuovo governo non era affatto scontata.
Gli 88 giorni di crisi hanno avuto per protagonisti gli esponenti di spicco della nostra politica e dei partiti, i quali hanno operato secondo alti e bassi. Vogliamo fare anche noi, per una volta, i commissari di esame e attribuir loro un voto, secondo i criteri dei “politologi”. Ecco, dunque, chi sono stati – a nostro parere – i promossi e i bocciati.
Sergio Mattarella: 10
Il Presidente della Repubblica ha saputo comporre una delle crisi più difficili del dopoguerra, intervenendo in prima persona nelle fasi più difficile della vicenda e, alla fine, facendo prevalere il proprio punto di vista – o meglio, il punto di vista istituzionale – risultando, il vero “Ghino di Tacco” della situazione. Lo ha fatto, non tenendo conto degli insulti e dei toni di chi ha sbraitato sulle sue decisioni, minacciando la messa in stato d’accusa.
Alla fine, ha vinto lui. Non solo, infatti, ha ottenuto che il portabandiera del “sovranismo” Paolo Savona non fosse preposto al ministero dell’economia ma, probabilmente, anche gli altri due ministri tecnici che gestiranno i rapporti dell’Italia con l’Europa, sul piano diplomatico e contabile, sono farina del suo sacco. Il nuovo ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, infatti, era già stato ministro per gli affari europei nei ministeri Monti e Letta, cioè i presidenti del Consiglio più “odiati” dai sovranisti.
Inizialmente indicato per lo stesso ministero anche nella prima lista Conte, Moavero è stato “promosso” agli esteri sicuramente per “neutralizzare” Savona, alla fine relegato agli affari europei. Anche sul nome del ministro dell’economia, Giovanni Tria, docente di economia politica a Tor Vergata e direttore per sei anni della Scuola superiore della Pubblica Amministrazione c’è stato – quanto meno – il gradimento del Quirinale.
C’è di più, rifiutando apertamente la nomina di un ministro (Savona) proposto dal Presidente del Consiglio incaricato, Mattarella ha creato un precedente nella storia costituzionale italiana, che i suoi successori – a questo punto – potranno seguire (vi erano stati già precedenti ma mai così clamorosi). Il ruolo del Presidente della Repubblica in tempi di crisi di governo ne risulta accresciuto. Anche per questo, Mattarella passerà alla storia.
Luigi Di Maio: 8
Alla storia è passato anche Luigi Di Maio, per la sua capacità di “sparigliare” le carte, traghettando il suo partito al centro della vicenda politica italiana e spezzando in due la coalizione di centro destra che, dalle urne, era uscita vincitrice, sia pur con la maggioranza relativa. Ha infine evitato che si andasse a nuove elezioni che avrebbero potuto mandare in fumo il sogno del M5S di poter governare in prima persona il paese. Unico neo, i toni di minaccia dello stato d’accusa nei confronti del Presidente Mattarella, sui quali le reti televisive – dopo la formazione del governo – hanno impietosamente indugiato, mettendolo alla berlina.
Matteo Salvini: 6
Anche se per taluni è sembrato il vero vincitore, per i toni da asso pigliatutto, la sua – forse – è stata una vittoria di Pirro. Ha dovuto rinunciare alla nomina di Savona all’economia, sulla quale era rimasto avvinghiato per puntiglio o per propaganda, tanto da rimanervi, alla fine, scottato. Soprattutto, per governare, è stato costretto a rompere quasi subito con i suoi alleati Berlusconi e Meloni, riducendosi a trattare in posizione di inferiorità elettorale di fronte a Di Maio. Forse, il ministero dell’Interno e altri minori non lo ripagheranno della rinuncia agli alleati di sempre.
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Matteo Renzi: rimandato a settembre
Rifiutando, a nome del PD, di andare al governo con il M5S di Di Maio, probabilmente ha commesso un errore; quanto meno secondo i canoni di un paese dove – Andreotti docet – “il potere logora chi non ce l’ha”. Molti, però, ritengono che, grazie a ciò, il PD può ora riposizionarsi nel ruolo di opposizione di sinistra, riguadagnando spazi politici a cui per troppo tempo aveva rinunciato. Se tale ipotesi sia fondata la si vedrà dopo l’estate.
Silvio Berlusconi: 2
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Gli anni si sono fatti sentire per il “dominus” di Segrate. Si è subito fatto da parte a vantaggio di Salvini nel ruolo di capo del centro-destra – che pure è una “sua” creatura – per aver ottenuto solo pochissimi punti percentuali in meno dal voto di marzo. Si è fatto poi “scaricare” dal suo alleato, senza trovare sponda in nessun altra formazione politica, nemmeno da parte della Meloni. Infine, ha fatto calare, per la prima volta, nell’ultimo quarto di secolo, il suo silenzio di tomba nella vita politica italiana.
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Paolo Savona: in punizione dietro la lavagna
Ottantaduenne professore di economia e quant’altro. Conosciuto per decenni solo dagli addetti ai lavori, è salito alla ribalta della grande politica quasi come un “turista per caso”. L’indicazione del suo nome come ministro dell’economia è stata accolta come un orrore (sembra che dietro al “niet” di Mattarella ci sia stata una telefonata di Mario Draghi) e ciò ha comportato che le sue idee di Piani A e B siano state sbattute sui social media come se fossero delle strategie da Risiko. Alla fine è stato esiliato in un ministero senza portafoglio; proprio lui che sognava di cambiare la composizione (da Euro in Nuove Lire) del portafoglio della Banca d’Italia.
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