La quarta domenica di Pasqua, tradizionalmente definita domenica del “Buon Pastore”, è la giornata in cui la Chiesa medita sul grande mistero della vocazione cristiana, pregando, nello stesso tempo, per coloro che sono chiamati a vivere intimamente con Dio. Oggi, quindi, il nostro pensiero si rivolge ai diaconi, ai sacerdoti, ai vescovi ed, infine, al Papa, garante e sigillo della fede a cui tutta la Chiesa guarda con fiducia per essere confermata nella fede, nella speranza e nella carità.
Il brano del Vangelo di questa domenica (Gv 10, 27-30) è particolarmente breve e, nello stesso tempo, denso e carico di significato. Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dona la vita per le sue pecore (Gv 10,28). È un’antichissima immagine quella del pastore, già menzionata nell’A.T., in riferimento ai Profeti che preannunciavano il Cristo “Pastore di Israele”, discendente del re Davide. È Gesù infatti, il vero Pastore d’Israele perchè ha donato la sua vita per condurre il gregge a salvezza. Ecco perché Egli non è un semplice pastore, ma un “pastore buono” che non abbandona mai il suo gregge; “il suo bastone e il suo vincastro, infatti, mi danno sicurezza” (Sal 23). Dal Vangelo di oggi giunge a noi una parola di consolazione ed un motivo di incrollabile speranza. Siamo, infatti, l’immagine delle pecore appartenenti al gregge della Chiesa e missionari in virtù del Battesimo che abbiamo ricevuto.
Ecco perché ciascuno di noi è chiamato a diffondere ovunque il seme della Parola di Dio e a far conoscere la sua infinita misericordia che si mostra a noi nell’Eucarestia, fonte e culmine della vita cristiana, momento d’intensa intimità durante il quale abbiamo la possibilità di gustare e sperimentare la tenerezza dell’amore di Dio; nell’Eucarestia, infatti, Egli ci chiama ad essere docili come agnelli, fedeli come Lui stesso, innamorati come lo sposo e la sposa e a vivere intrepidi in mezzo a tante controversie che, come è narrato nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (At 13, 14.43-52), accompagnano da sempre la storia della Chiesa: pur in preda a tanti ostacoli e a mille persecuzioni “i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo”. Il vero discepolo di Cristo, a prescindere da incomprensioni o contrasti, si impegna come S. Paolo a non smarrire la gioia, a combattere la buona battaglia e, in ultimo, a conservare la fede.
Perciò, le parrocchie, le comunità cristiane ma, soprattutto, le famiglie cristiane ci auguriamo che sappiano essere “scuola di vocazioni” in cui far nascere, crescere e rinvigorire il dono della vocazione ricevuta da Dio, una chiamata prima alla vita e poi alla santità. Oggi, purtroppo, la Chiesa soffre molto a causa della mancanza di sacerdoti; ciò rappresenta un grave problema che non possiamo non considerare. Tantissime comunità ecclesiali sono gravemente private persino dell’inestimabile dono della S. Messa ed è triste poter ammirare la bellezza di tante chiese chiuse, purtroppo, per la carenza di sacerdoti. Sembra quasi che da Gesù non voglia andare più nessuno e, invece, da Gesù – come ci testimonia il Vangelo – andavano in molti, sani e soprattutto ammalati perché Egli rappresentava un segno di speranza sicura che la società all’epoca certamente non era in grado di offrire.
Gesù con la sua encomiabile dolcezza, infatti, sapeva infondere luce, certezze e sicurezze. Nei confronti di quelle folle, il Maestro sapeva ben esercitare il grande valore della compassione: sapeva condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E gli Apostoli avevano colto bene questo aspetto di Gesù. Tante volte, ciò che oggi, purtroppo, manca è proprio la compassione. S. Francesco di Paola, in questi giorni particolarmente venerato ovunque, seppe incarnare ed esercitare con mirabile saggezza questa esimia virtù cristiana. “Aveva grande compassione dei tanti infelici in preda ad afflizioni fisiche e morali. A tale compassione era anche mosso dalla vita sensuale di molti peccatori, che perdevano così la vita presente e quella futura. Per questo motivo il servo di Dio viveva tutto mortificato e martirizzato nel cuore e nel corpo”.
In questi termini, il suo Biografo Anonimo presenta la vita dell’eremita calabrese e tali parole sono le chiavi interpretative per capire la scelta di vita di Francesco e per comprendere il significato profondo del carisma che egli ha voluto lasciare nella Chiesa e ai suoi seguaci. Scosso per grazia di Dio dai peccati degli uomini, Francesco di Paola sente il bisogno di fare penitenza per riparare la cattiva condotta dell’uomo e per additare a tutti la strada della conversione e del ritorno a Dio.
Ecco perché la sua lunga vita terrena si costruisce attorno al perno della compassione, trovando in essa stabilità ed equilibrio, condizioni queste, che lo hanno reso felice per tutta la vita. Occorre tanta povertà di spirito, umiltà e generosità per esercitare nei nostri ambienti questa compassione cristiana. A ciascuno di noi, e soprattutto ai sacerdoti, Gesù chiede un amore tangenziale e a tutto campo per chiunque, anche per colui che è divenuto rifiuto. Gesù ci chiede quindi, un amore incondizionato e che spinga a donare la propria vita. Siamo nel cuore dell’Anno della Fede. Intensifichiamo, perciò, le nostre preghiere perchè tutti i sacerdoti, fedeli alla missione a cui Dio li ha chiamati, possano dire ogni giorno con la vita e con le opere un nuovo sì e un nuovo eccomi senza riserve. Infine, chiediamo a Dio, Padrone della messe, di inviare presto a lavorare nella sua vigna molti operai santi, dediti totalmente al servizio libero e disinteressato verso il suo popolo.
di Fra’ Frisina
foto: 24emilia.com
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