La settimana della moda parigina, svoltasi interamente in digitale, mette ufficialmente punto al fashion month, conclusosi con la sfilata di Louis Vuitton nel cortile del Louvre lo scorso 10 marzo. Quasi in linea con il digital hub scandinavo, dal punto di vista organizzativo, la piattaforma della Fédération de la Haute Couture et de la Mode, di tutte le fashion week europee appare la vetrina più minuziosa, tralasciando ovviamente le postille dedicate dalla moda danese alla sostenibilità. A inizio febbraio, infatti, con l’inaugurazione della settimana della moda di Copenaghen, la CEO Cecilie Thorsmark presenta un piano d’azione, fissando per i brand una serie di requisiti di sostenibilità da soddisfare entro il 2023. Standard che a presentazioni finite, si confermano quasi impossibili da replicare nel resto d’Europa. Almeno per adesso.
La moda parigina che di sicuro non eccelle per l’approccio sostenibile, si conferma invece un passo avanti sulla strada dell’inclusività rispetto alle piattaforme di Camera Moda e Altaroma, permettendo dunque a chiunque lo volesse, di seguire in live streaming la manifestazione da casa. Simile all’hub scandinavo, cliccando direttamente sul link della Fédération, il calendario di Parigi fornisce una serie di informazioni sulle diverse case di moda coinvolte, insieme ai dettagli di produzione relativi alle collezioni Autunno/Inverno 21. Materiale reso disponibile per operatori del settore (stampa e buyer) e non. Un approccio coadiuvante e democratico non solo per la nostra attenzione, che per dieci giorni (dall’1 al 10 marzo) ha scandagliato un calendario pregno di fashion film e sfilate preregistrate, tra big della moda e designer di nuova generazione, collocati tutti sullo stesso livello di fruibilità.
Tra questi ultimi, alcune presentazioni di matrice orientale, hanno fornito una stuzzicante interpretazione dell’aria contemporanea, confermando inoltre un’attenzione al sostenibile ben intrecciata con l’estetica concettuale del loro brand. È il caso del cinese Mashama e del giapponese Beautiful People. Mostrando il desiderio di percorrere la via della circolarità dalle passerelle parigine, i due brand d‘Oriente iniziano a re-immaginarsi in questo senso: dal non-sessismo di Calla in the Swamp, al tema della reversibilità in Double-End, entrambe le linee A/I 21 partendo da due ideali diversi, alimentano quella consapevolezza secondo cui si dovrebbe consumare in modo etico e non frenetico.
Dopotutto è anche di recente pubblicazione il Report LuxCo2030: A Vision of Sustainable Luxury, realizzato da Bain & Company e Positive Luxury. Secondo la ricerca i brand premiati dalla Generazione Z saranno quelli più virtuosi e che in maniera profonda, inizieranno a ripensarsi in termini di sostenibilità. Passi concreti e certificati insomma, che le case di moda dovranno iniziare a muovere da oggi per il 2030.
Nel frattempo si parla di non-sessismo da Mashama
Dietro la sofisticata costruzione di un pret à porter unisex, l’obiettivo di Calla in the Swamp è la rinascita; partendo da un’estetica inclusiva, pronta a rimuovere etichette di genere e razza. Si parla di non-sessismo da Mashama – brand nato nel 2011 dalla visione audace e moderna dell’omonima designer cinese. Su un pontile tra l’urbano e il marittimo, proposte uomo e donna si alternano senza troppo distacco parlando di abiti e indumenti, in una chiara prospettiva generale. “Ciò può anche far risparmiare molti prodotti di scarto da tessuti e processi diversi e ottenere anche un nuovo concetto di sostenibilità” rivela via Zoom la designer. “Lo sviluppo sostenibile che vogliamo esprimere in questa serie è non-sessismo: le donne non possono più indossare solo abiti da donna e gli uomini non possono più indossare solo abiti da uomo”.
La collezione è in bianco e nero, ci sono pizzi, merletti, orli romantici e drappeggi che richiamano i petali del fiore, ossia la calla, da cui la linea prende il nome. E poi ci sono geometrie sulla lana vergine – mista ad alpaca e mohair – lavorata riducendo spessore e ruvidezze. Tessuti personalizzati, recuperati grazie all’azienda italiana Bonotto. Ci sono accessori, come cinture di pelle nera e imbracature in stile militare, adornate con Rebirth Feather, la piuma della rinascita stampata o riprodotta a mo’ di spilla, concetto guida del brand. Rinascere senza etichette e marciare verso un’identità forte e consapevole. Sarebbe dunque questo, l’approccio di Mashama che sottotitola la presentazione con: “Non sono una donna. Non sono un uomo. Sono qualcosa che non capirai mai”. Il non-sessimo, armato di mistero, si rivela interessante per iniziare dal profondo a ripensarsi in sostenibile, secondo un’idea di sviluppo da soddisfare giorno dopo giorno.
L’approccio macchinoso di Beautiful People lavora sul tema del doppio
Tracciando due funzioni per ogni capo, il brand giapponese di Hidenori Kumakiri ha come idea di partenza che l’atto del vestirsi debba essere una performance divertente e in continua evoluzione. Immaginando uno strato nuovo nascosto tra l’esterno dell’abito (A) e la sua fodera interna (B), il designer individua il punto C. Con questa tesi gli abiti possono essere indossati in modi diversi – al contrario, capovolti, intrecciati -, rispettando il ritmo delle emozioni umane e riducendo anche gli acquisti di capi che andrebbero a riempire inutilmente i nostri armadi. “Lavorando contemporaneamente alla costruzione e alla decostruzione, gli articoli ruotano di 90 °, 180 °, 270 ° per formare nuove silhouette e forme utilizzabili in entrambe le direzioni” spiega il designer in una nota.
La linea si chiama Double-End e parte dall’idea che, vista l’emergenza sanitaria, il mondo è capovolto. Secondo Kumakiri, chiusi nelle nostre case, passiamo il tempo a scrutarci davanti allo specchio immaginando una versione nuova di noi stessi. La rappresentazione teatrale della collezione, con gli abiti interpretati dalle modelle che mimano il contrario del loro riflesso, spinge a guardare oltre, alla ricerca della bellezza d’animo di chi li indossa. Una conferma dell’estetica di Beautiful People che vuol portare felicità, e far sentire comodi e belli per come si è. “Un mantello diventa un vestito a coda di pesce, un abito in piuma d’oca si trasforma in un cappotto da opera” spiega Kumakiri. Il tema doppio si lega alla persona e agli abiti, che grazie alla reversibilità hanno una doppia funzione d’uso, e intrecciando un’empirica attenzione al sostenibile, liberano spazio dal nostro guardaroba, auspicando dunque quel consumo più etico e meno frenetico.
Scrivi